Perché l’aggressione fascista di Firenze è un segnale che non va sottovalutato

Febbraio 1933. Ingresso di una scuola. Degli adulti pestano violentemente dei ragazzini che a terra, sotto una gragnuola di pugni e pedate, cercano di ripararsi. Qualche passante china il capo, scuote la testa e prosegue il suo cammino. Il personale della scuola vede ma è troppo indaffarato a passare il cencio bagnato e poi, mica è affar loro.

Una insegnante, sola, tenta di fermare il pestaggio e dice l’unica cosa ragionevole: “ma cosa fate?”.

Perché in effetti, apparentemente, quello che sta avvenendo è inspiegabile. I notiziari, la sera, commentano: “scontri e rissa davanti alla scuola”, “i responsabili, identificati, rischiano l’imputazione per manifestazione non autorizzata”. Addirittura! Indignazione di qualche politico a favor di telecamera.

aggressione squadrista firenze 17 febbraio
L’aggressione squadrista e fascista di Firenze davanti al liceo Michelangelo presa da un fermo immagine di un filmato realizzato col cellulare

L’allarme non ascoltato sulla violenza organizzata della destra

Gli stessi che hanno ignorato l’allarme lanciato in precedenza sulla violenza organizzata della destra nazionalista. Sì, si tratta di squadre organizzate di picchiatori professionisti che mandano avanti dei giovanissimi provocatori e poi intervengono a punire chi si ribella.

La Costituzione li ha banditi, ma questi agiscono tutto sommato indisturbati. Sono la frangia violenta di un’organizzazione politica che ha le sue sedi, le sue bandiere, i suoi circoli “culturali”, la sua “letteratura”.

I professori, gli intellettuali – salvo sparute e isolate minoranze – sono silenziosi, sottovalutano, dichiarano esagerati gli allarmi: nella nostra democrazia il totalitarismo, la dittatura non possono affermarsi; ci sono gli anticorpi. E poi, ci sono le elezioni che non possono far passare la destra violenta e nazionalista e se lo fanno, saranno le istituzioni della democrazia a domare gli spiriti più fascinorosi; dovranno mettersi giacca e cravatta.

Poi tutto passerà: tempo qualche mese e tutto si acquieterà. Anche i giornali e i media tengono toni bassi e schiena china: sono notizie di periferia e di breve momento. Ci sono feste e carnevali da raccontare: la gente non vuole leggere notizie tristi in questi tempi di crisi economica, inflazione galoppante e di guerra incipiente.

Quell’indifferenza dei presenti che fa male

No, scusate, ho sbagliato. Non siamo nella cittadina di Thalburg nella Germania di Weimar nel 1933, così lucidamente descritta da W.S.Allen in “Così si diventa nazisti. Storia di una piccola città 1930-1935”. E non è “Febbraio 1933. L’inverno della letteratura” di Uwe Wittstock. E’ Firenze, febbraio 2023, davanti al Liceo Michelangelo. Ma la scena è esattamente la stessa.

Se a qualcosa mai dovessero servire i libri che, copiosamente nell’anniversario della Marcia su Roma (1922) e dell’avvento del nazismo (1933) hanno invaso le librerie, è proprio questo: aiutarci a leggere i fatti della nostra vita quotidiana con la consapevolezza di quanto già accaduto e trarne qualche lezione.

Diversamente da quanto si crede, fascismo e nazismo non si affermarono con i colpi di mano del 1922 e del 1933. Crebbero invece silenziosamente, ignorati, sottovalutati nelle società italiana e tedesca nella distrazione o colpevole negligenza di intellettuali, politici e cittadini comuni.

La storia è sempre maestra

C’erano allora altre cose a cui pensare: l’inflazione (appunto), la vita quotidiana sempre più difficile per la crisi economica (ecco), le divisioni nel movimento socialista e operaio (dunque), il clima di guerra con la grancassa suonata dai nazionalisti e le distrazioni delle feste di paese (Sanremo, oggi). Così, si diventa nazisti: capo chino e senza guardare e reagire. Nel silenzio, non nel fragore del conflitto.

Riusciremo ad alzare la testa e ad aprire gli occhi, oggi nel 2023? Lo dovremmo fare, se non altro per quei ragazzini pestati mentre entrano a scuola che domani potrebbero essere le avanguardie di movimenti politici violenti, soldati da mandare al fronte o, invece, uomini e donne liberi, solidali con i loro vicini, con lo sguardo limpido, aperti al mondo e al futuro.

Tocca, anche, a noi.