Referendum mancato per Trump, l’onda rosa favorisce i democratici

Se doveva essere un referendum sul presidente, come ha sostenuto Trump in una affannosa campagna elettorale dove ha spesso dimenticato di menzionare i candidati in corsa chiedendo un voto per sé, beh quel referendum The Donald non lo ha vinto. Non c’è stata l’onda blu democratica, o meglio non è stata uno tsunami. I dem hanno ripreso la Camera dei rappresentanti, ma ceduto terreno al Senato. A fermarsi ai numeri verrebbe da dire che è andato tutto come sempre: il presidente in carica non è mai il favorito nelle elezioni di mezzo termine. C’è stata però un’onda rosa. Il successo dei democratici ha molte facce ma soprattutto quella delle donne: mai tante candidate, mai tante elette (100 alla Camera). E tante donne bianche che hanno voltato le spalle a Trump. Due anni fa gli avevano regalato un vantaggio di nove punti su Hillary Clinton. Quell’entusiasmo oggi sopravvive solo tra le donne più anziane e più ricche.

“Un successo tremendo”, ha twittato il presidente in nottata. Le cose non stanno proprio così. Finisce l’era del suo potere incontrastato da un Congresso a maggioranza repubblicana che ha ingoiato scandali e scelte temerarie, limitandosi a qualche mugugno e sporadiche critiche, per paura di andare contro il vento populista. Trump avrà mano libera in politica estera e nelle nomine – e questo è un danno maggiore, come dimostra la recente scelta del giudice ultra conservatore Kavanaugh alla Corte Suprema, nonostante le accuse di molestie sessuali – ma tagli alle tasse o ai diritti civili troveranno una barriera alla Camera dei rappresentanti, dove la nuova maggioranza potrebbe anche avviare l’impeachment del presidente per il Russia-gate. O comunque aprire inchieste sulla cartella fiscale del capo della Casa Bianca come sui suoi conflitti di interesse.

Per Trump è una sconfitta. Anche se il suo soffiare sul fuoco delle divisioni, l’indulgenza verso la destra nazionalista bianca, la politica delle fake news ripetute allo sfinimento fino a diventare “verità alternative”, hanno scavato a fondo nel Paese. Il suo appeal rimane intatto negli strati più arretrati della società, nell’America rurale, tra i maschi bianchi specie anziani e con poca istruzione. Il suo impegno in prima persona è stato determinante per conquistare le poltrone di senatori altrimenti a rischio, mobilitando l’elettorato abitualmente tiepido al midterm- e questa è stata invece l’elezione dei record quanto a partecipazione. Trump ha chiesto un voto su di lui e lo ha ottenuto – anche se va notato che i 33 seggi in palio al Senato erano in larga maggioranza democratici.

Trump ha perso terreno nelle aree urbane e suburbane dove le sue politiche non hanno portato soldi in tasca alla classe media. I tagli alla sanità sono andati a sommarsi alle casse vuote delle amministrazioni locali, ridimensionate dagli sconti fiscali alle corporation. Il presidente ha perso terreno tra le donne, tradizionalmente più vicine ai dem (stavolta in media il 21% in più, rispetto ai repubblicani) con la vicenda Kavanugh e prima con lo scandalo del silenzio comprato ad una pornostar. Ha spaventato latinos e immigrati, indignando persino l’amica Fox tv con uno spot in cui mostrava un clandestino condannato a morte per omicidio collegandolo direttamente alla marcia degli honduregni e accusando i democratici di ogni nefandezza, mentre chiedeva un voto per sé.

Per i democratici è una rimonta necessaria, dopo lo shock di due anni fa, quando Hillary vinse il voto popolare perdendo la presidenza. Determinante l’impegno di Obama che ha galvanizzato la base e soprattutto i giovani, che avevano disertato le urne due anni fa. E’ un voto che porta alla ribalta un partito nuovo, con il volto della “socialista” Alexandria Ocasio-Cortez che stravince nel Bronx o quello di Ilhan Omar, che dal Minnesota sarà la seconda deputata musulmana al Congresso e la prima a indossare il velo islamico (“un incubo per Trump”). O quello di Sharice Davids, prima nativa americana – per altro apertamente omosessuale – eletta in Kansas. Non ce l’ha fatta la giovane promessa del partito democratico Beto O’Rourke che nell’ostile Texas ha insidiato comunque molto da vicino il repubblicano Ted Cruz, mentre per uno zero virgola Andrew Gilliam, primo afro-americano non è arrivato a diventare governatore in Florida.

“Abbiamo l’inizio di un nuovo partito democratico, più giovane, più scuro, più fresco, con più donne, più veterani, un partito che può vincere in Pennsylvania e in Ohio. Può non essere un’onda blu ma è un’onda arcobaleno”, ha detto Van Jones, commentatore politico della Cnn. Per i democratici si riapre la stagione della politica e la difficoltà sarà quella di bilanciare i desideri dell’elettorato con una strategia di lungo periodo. Il 77% degli elettori dem vorrebbe l’apertura di una procedura di impeachment, gli alti gradi del partito sono molto più cauti perché temono che questa possa rivelarsi un’arma a doppio taglio: dati i numeri al Senato, è un’operazione che ha buone probabilità di non arrivare da nessuna parte e rischia di consegnare a Trump l’aurea della vittima, facilitando la sua ambizione a un secondo mandato.

Prudentemente Nancy Pelosi, ex speaker della Camera di nuovo in pole position per la carica, promette di lavorare soprattutto per rafforzare il sistema sanitario, abbassare il costo dei medicinali e proteggere milioni di americani malati dalle angherie delle assicurazioni, oltre a controllare l’operato di Trump. Ma senza fare dell’impeachment un punto dell’agenda. In ogni caso per Trump il Congresso sarà un ambiente assai più ostile di quanto non sia stato finora. “Oggi è qualcosa di più di democratici o repubblicani – ha detto Pelosi in queste ore -. E’ qualcosa che riguarda il ripristino dei controlli e bilanciamenti sull’amministrazione Trump previsti dalla Costituzione”. Il presidente ha già avuto modo di commentare su questa eventualità. “Facciano quello che gli pare. Io farò quello che pare a me”.