Al Pd un incoraggiamento
Ma servono nuove idee
per riunire la sinistra
L’Italia si tinge di nero e riuscire a trovare una piccola sfumatura di rosso è oggi un’impresa abbastanza ardua. Se si esclude la Toscana, il leghismo avanza in Emilia Romagna, in Umbria, in quelle che un tempo ormai lontano venivano definite le roccaforti rosse e strappa al centrosinistra il Piemonte, l’unica Regione del nord che governava con un bravo amministratore come Chiamparino. E’ un’onda che sembra inarrestabile e che porta Matteo Salvini sulla cima di un 34,3% che fino a qualche mese fa era impensabile. Se si considera con quali argomenti, speculando su quali paure e scatenando quali odii, il leader leghista sia riuscito in questa mission impossible, la fotografia di questo voto europeo mette paura. E fa capire quanto sia lunga e difficile la strada che dovrà percorrere il centrosinistra prima di tornare ad essere pienamente competitivo.

Qualcosa però, in questo nostro campo ancora disastrato, si è mosso. Quel 22,7% che consente al Pd di Nicola Zingaretti di superare il Movimento Cinque stelle e diventare il secondo partito ha sicuramente un effetto psicologico importante. Come lo hanno i risultati amministrativi di molte città, da Firenze a Bari, da Bergamo a Lecce. In pochi mesi il Pd è risalito da poco più del 18% a cui era stato inchiodato dopo la sbornia renziana a una cifra che è ancora lontana dalla “non vittoria” di Bersani alle politiche del 2013 ma che è certamente, visto il clima generale, un punto dal quale si può riprendere il viaggio.
La frantumazione a sinistra del Pd, con la Sinistra che si ferma all’1,8% e con i Verdi che, nonostante il vento favorevole in Europa, devono accontentarsi del 2,3%, dimostra che, se una coalizione di centrosinistra sarà possibile ricostruire nei prossimi mesi, lo si potrà fare solo a condizione che il Pd riesca a svolgere senza presunzioni il ruolo di cerniera tra i diversi pensieri della sinistra e riesca a farlo con grande apertura. E’ una considerazione che non è il frutto di astratte analisi politologiche, ma è l’effetto di un messaggio degli elettori che sembra chiaro: continuare a dividersi è sbagliato, l’unica strada è cercare la via di una nuova unità, sui contenuti chiari piuttosto che sulle buone intenzioni. D’altra parte finora tutti gli esperimenti di costruire nuovi partiti di sinistra – a cominciare dalla scommessa fallita di Liberi e Uguali – non hanno avuto successo e hanno prodotto nuove lacerazioni e nuove divisioni. Può dispiacere, ma è così. E bisogna prenderne atto per evitare altre operazioni di pura testimonianza.
Ora, se tutto questo è vero, il lavoro che aspetta Nicola Zingaretti e gli altri leader del centrosinistra è immane. Essere riusciti a fermare l’emorragia ha evitato il dissanguamento del partito e l’estinzione che molti avevano diagnosticato, ma non lo mette completamente al riparo da possibili ricadute. Bisogna essere consapevoli che vanno compiute delle scelte chiare – cosa poco compatibile con i tentennamenti e gli equilibrismi di questi mesi – mettendo in discussione vecchie certezze e cercando di scoprire nuovi territori, avendo il coraggio dell’eploratore e non la paura di chi preferisce barricarsi nel proprio fortino.
Per fare questo, se non si vuole sprecare questa occasione, credo sia necessario concentrarsi su tre aspetti, tutti e tre indispensabili alla ricostruzione di una nuova forza di centrosinistra in grado di accrescere i consensi e di essere davvero, e non solo a parole, l’alternativa alla destra leghista.

Primo. E’ necessario un nuovo alfabeto della sinistra, che consenta di pronunciare le parole giuste, archiviate troppo in fretta, che corrispondano però a nuove idee per un mondo nuovo. Ognuno di noi, a volte, di fronte a un presente oscuro e a un futuro troppo incerto, preferisce rifugiarsi nel passato. E’ un fenomeno comprensibile, che Zygmunt Bauman ha chiamato, in uno dei suoi ultimi libri, “retrotopia”: la ricerca di visioni in un passato perduto. Bisogna spezzare questa catena, bisogna eliminare tutta la “retrotopia” che qualche volta imprigiona la sinistra. Questo consentirà di capire che la collera, la paura, l’odio, l’egoismo che hanno ingrossato le vele di Salvini sono il frutto di un modello sociale – e quindi anche di un modello di sviluppo – sbagliato e ingiusto del quale l’Europa e gli europei sono stati le principali vittime. Riappropriarsi delle parole uguaglianza, giustizia, diritti, parità e aggiornarle ai tempi nuovi – e quindi riconoscere che di quel modello di sviluppo che le ha oscurate porta una parte di responsabilità anche la sinistra – è dunque la prima rivoluzione copernicana di un nuovo centrosinistra che vuole davvero tornare a vivere nelle periferie (quelle geografiche, sociali, umane). Mettere il tema dello sviluppo sostenibile e quindi dell’ambiente al centro dei nostri pensieri potrà permettere di entrare in sintonia con una generazione (Greta e i suoi compagni di viaggio) che il mondo lo vuole cambiare nel profondo. Insomma, servono nuove idee, nuove frontiere da raggiungere, nuovi limiti da scavalcare, superando tutti gli errori commessi in questi anni di ubriacatura filo-liberista. Perché è sulle idee che possono nascere le speranze nuove.
Secondo. Se ci sono le idee, le persone torneranno a muoversi. Cammineranno insieme, cercheranno di unirsi, di darsi forza, di metterci passione. Se ci sono le idee potranno nascere nuove aggregazioni, nuovi luoghi dove ritrovarsi, nuove comunità. Bisogna evitare l’errore storico commesso dalla sinistra negli ultimi venti anni di pensare che una coalizione può nascere solo dall’assemblaggio di ceto politico, di pezzi di partiti, di gruppi, di potentati. Il nuovo centrosinistra potrà nascere solo se unisce le idee che possono unire le persone. Le liste unitarie sono tali fino in fondo solo se sono il frutto di vere contaminazioni e non di accordi di potere o per la spartizione di parti di un simbolo. Sarebbe utile per rispondere a questo bisogno di conoscenza della realtà, anche se può apparire démodé, organizzare cento conferenze delle idee in cento città chiamando a raccolta le associazioni, i gruppi civici, gli intellettuali, il volontariato, il sindacato, gli studenti, chiunque voglia o sappia aggiungere un pezzo di pensiero al grande puzzle di una nuova sinistra plurale. Una fabbrica itinerante delle idee che si apra ai nuovi mondi e crei quelle connessioni sociali e politiche che fanno crescere una forza politica e la rendono utile. Basta guardarsi attorno per vedere quanto c’è di buono e di vivo ancora nella nostra società che è nascosto, agisce in silenzio, spesso nell’ombra e che ha molto da dire a una sinistra che deve reinventarsi e trovare una nuova identità. Diamogli voce, diamogli spazio, diamogli potere.

Terzo. Se circolano nuove idee e se le nuove idee fanno muovere le persone, allora sarà possibile anche mettere mano a quello che chiamiamo il rinnovamento dei gruppi dirigenti e che non è altro che l’affacciarsi sulla scena di una nuova generazione. Non si può restare prigionieri – come a volte fanno sia il Pd che gli altri partiti di sinistra – dell’autoreferenzialità: ceto politico che si autoalimenta e, come una casta di intoccabili, impedisce non solo il ricambio ma anche qualunque avvicinamento. Zingaretti qualche giorno fa ha invitato gli iscritti al Pd a sfondare le porte delle sezioni chiuse: un invito quasi liberatorio, che però non basta. Quelle sezioni, infatti, sono sbarrate non perché c’è una serratura inchiavardata, ma perché, anche quando sono aperte, spesso sono chiuse in se stesse, impermeabili al nuovo, a quello che si agita nelle strade del proprio quartiere, ai problemi e alle sollecitazioni. Sono quasi un non-luogo, separato dal resto del mondo. Da qui bisogna partire per selezionare nuovi dirigenti. Ogni leader deve sapersi mettere in discussione, essere capace di accogliere e di fare il passo di lato quando è necessario. La sfida del rinnovamento è un passaggio chiave del futuro centrosinistra solo a patto che sia il prodotto di una battaglia delle idee e non di qualche anomala cooptazione del capocorrente di turno. Mettiamo i più giovani nelle condizioni di sfidare, di dimostrare che hanno migliori idee delle nostre, che sanno come farle conoscere. Che sanno comunicarle: perché, diciamo la verità, questa sinistra non sa proprio farlo. A volte basterebbe un gesto, nel mondo veloce di oggi, per essere più efficaci di mille discorsi. Quante parole e sentimenti si sarebbero messi in movimento, solo per fare un esempio, se Zingaretti, invece di fare la solita dichiarazione, fosse volato a Palermo dieci giorni fa per dire di persona a Rosa Maria Dell’Aria, la professoressa sospesa per il compito dei suoi alunni, “siamo dalla sua parte perché difendiamo la libertà di pensiero, perché la scuola deve essere il luogo del pensiero critico”? E quanti gesti così possono produrre passione, condivisione, identificazione?
Questi tre aspetti che ho cercato di spiegare devono essere centrali da oggi in poi se si vuole accogliere fino in fondo il messaggio che arriva dagli elettori – un’apertura di credito ma condizionata – e non accontentarsi di vivacchiare sugli allori ancora un po’ striminziti del 22,7%. La strada davanti al centrosinistra non è sbarrata: il voto di ieri dimostra che il cammino può ricominciare. Bisogna però togliere di mezzo ancora qualche maceria che ostacola il passo. Ma soprattutto occorre che la via si riempia di nuovi viaggiatori che abbiano la curiosità di terre nuove e portino con loro mappe aggiornate per non perdersi, come è accaduto in passato, nei sentieri indicati dagli altri che prima o poi fanno finire la sinistra fuori strada.
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