Per Di Maio
la sfida-farsa
con l’aiutino di Grillo
Dopo la scoppola europea Luigi Di Maio ha preso atto che una responsabilità da leader andava assunta. Troppo incombente il rischio di un terremoto politico, nell’inesperto mondo a cinquestelle. Perciò tira il fiato, si consulta con i fedelissimi al Mise e giocando d’anticipo osa l’inosabile. Dimissioni? No. Assise straordinarie? Men che meno. Confronti pubblici in tutti i meetup sopravvissuti? Siamo matti… De hoc satis. Si va oltre, molto oltre, là dove ardiscono le aquile: “Chiedo che sul mio ruolo di capo politico si pronunci la piattaforma Rousseau”. Nientedimeno.
Quale piattaforma Rousseau? Quella multata dal Garante della privacy due mesi fa (cinquantamila euro) perché “non gode delle proprietà richieste a un sistema di e-voting”, alias non garantisce “autenticità e riservatezza” dei suffragi? Quella.
Quella di proprietà della omonima associazione gestita da Casaleggio, sponsor dell’investitura del leader politico insieme a Beppe Grillo, prima che questi si ritirasse fra la Liguria e i teatri d’Italia? Quella.
Quella al cui interno centomila iscritti decidono candidati, svolte, direttive, mentre dieci milioni di votanti (sei per la precisione, postscoppola) assistono silenti a bocca asciutta? Quella.
Di Maio, pur consapevole del rischio in cui si lancia, va avanti. Perchè pesanti segni di contestazione già fanno scricchiolare le mura dei gruppi parlamentari: Paragone, dicono ispirato da Di Battista, chiede passi indietro da un qualche ministero; Carelli mugugna; Nugnes protesta; Fattori denuncia; Fico è perplesso, anche se nel rumore di fondo di quattro milioni di voti che si sgretolano non si capisce esattamente per che cosa. Di Maio affronta dunque la fossa dei leoni, non c’è verso di fargli cambiare idea.
Davanti a tanta temerarietà il Fondatore si scuote dal sonno. Ma benedetto ragazzo, come si fa a esporsi in tal modo? Metti caso qualche matto della Rousseau dovesse decidere, nel segreto della piccola urna cibernetica, che dopo Luigi è scoccata l’ora di Dibba? No, no, vade retro la consultazione fra i pochi iscritti. Qui ci vuole l’ endorsement.
L’endorsement arriva ad horas, dal blog personale di Beppe: non si discute di una sconfitta elettorale come se fosse “il calo di vendite di una multinazionale”, “Luigi non ha commesso un reato”, il problema vero è “il rigetto dell’Italia peggiore contro il Movimento”. L’”Italia peggiore”, come i peccatori in chiesa, dopo aver evocato il Vaffa per dieci anni. Mah.
Potenza della persuasione: a ruota i sostegni fioccano. Casaleggio canta “il coraggio” di Luigi, Lombardi e Fico escludono processi al singolo, sarebbe una “logica da prima repubblica”, perfino Di Battista – scrivono i retroscena – sospira: “Scusa se ti abbiamo lasciato solo”. La solitudine del capo, lamentata dal buon Di Maio nelle dichiarazioni pubbliche dopo il voto, è scongiurata al volo. Fine del secondo atto, cala il sipario, come in certe assemblee degli anni Settanta: prima intervieni tu, poi tu, poi diciamo che …. A sera, infatti, il tripudio: Rousseau ratifica con l’80% di cinquantamila votanti. Di Maio – senza ridere – dice che è “un record mondiale”, ma che però lui non si monterà la testa.
Assolutamente lecito, ci mancherebbe. Ognuno si sceglie le regole che vuole. Dopo l’ormai obsoleta democrazia dei partiti, il mondo di plastica di Berlusconi e i giuramenti fluviali di tradizione leghista, i cinque stelle hanno ufficialmente battezzato la “a-democrazia”: che bisogno c’è della responsabilità, se siamo tutti brave persone?
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