Pensioni, l’errore di Macron: ignorare partiti, sindacati e i suoi elettori

Com’era facilmente prevedibile, l’annuncio ufficiale del progetto di riforma del sistema pensionistico ha infiammato la scena politica e il confronto sociale in Francia.
I contenuti essenziali della riforma sono ormai noti anche in Italia: innalzamento progressivo, nei prossimi anni, dell’età minima da 62 a 64 anni; la necessità, da subito, per chi è nato dal 1965 in poi di avere versato 43 anni (172 trimestri) di contributi per potere ottenere un assegno pensionistico a tasso pieno. In caso contrario bisognerà lavorare sino a 67 anni; un aumento delle pensioni minime a 1200 euro, per compensare i sacrifici richiesti.

Perché questa proposta ha suscitato una protesta così forte e diffusa ed è rifiutata dal 70% della popolazione secondo gli ultimi sondaggi? Perché la maggioranza dei francesi ritiene che colpisca in primo luogo coloro che hanno praticato i lavori più stressanti e meno pagati e le persone più anziane, poco aiutate nel caso perdano un lavoro, e che con le nuove regole dovrebbero lavorare più a lungo.

Meno spesa pubblica, più costo della vita

La riforma viene giudicata una risposta di Emmanuel Macron  ai mercati finanziari e a quelle forze politiche europee che chiedono da tempo alla Francia di diminuire la spesa pubblica. L’opinione pubblica, al contrario, è convinta che il vero problema sia quello del costo della vita, di un aumento generalizzato dei prezzi che colpisce il potere di acquisto anche delle cosiddette classi medie, e che occorrerebbe, dunque, prima di tutto, intervenire sui salari.

Le cifre della partecipazione alla manifestazione del 19 gennaio sono impressionanti: 1 milione e duecentomila manifestanti in tutta la Francia. La diffusione su tutto il territorio nazionale è il dato politico più interessante, i cortei si sono svolti ovunque, nelle grandi come nelle medie o piccole città. A differenza delle proteste contro le precedenti riforme, questa volta, accanto ai ferrovieri e ai sindacati dei trasporti e del pubblico impiego, sono scesi in piazza anche gli operai del settore privato e i giovani.
Particolarmente significativa è stata la presenza dei lavoratori e delle lavoratrici della Sanità e della Pubblica Istruzione. Ovvero due dei settori in prima fila durante la crisi pandemica e ai quali erano stati fatte molte promesse non mantenute e che continuano a subire tagli di personale e di finanziamenti indebolendo la qualità del servizio pubblico.

L’elettorato di Macron

Non vi è dubbio, come gli ultimi studi confermano, che la Francia sia stato uno dei paesi che ha investito più soldi negli aiuti alle persone e alle imprese pubbliche e private per resistere alla crisi del Covid. In effetti, grazie a questo intervento dall’alto, si è riusciti a limitare l’aumento delle diseguaglianze. Eppure, in questa fase di transizione verso il ritorno a una situazione di normalità, la rottura tra potere politico e una parte significativa della società sembra allargarsi. Cercare di capirne le ragioni, a partire proprio dal dibattito sulle pensioni, può essere utile per comprendere meglio le difficoltà che conoscono i sistemi politici occidentali.

Proteste il 21 gennaio 2023 a Parigi, Francia, contro la riforma delle pensioni in Francia voluta dal presidente Macron
Proteste il 21 gennaio 2023 a Parigi, Francia, contro la riforma delle pensioni in Francia voluta dal presidente Macron Photo by Kelly Linsale / BePress /ABACAPRESS.COM / Ipa agency / Agenzia Fotogramma

Di fronte alle proteste, Macron ha ribadito la necessità economica della riforma e ha ricordato come il progetto dell’’innalzamento dell’età a 65 anni facesse chiaramente parte del suo programma elettorale. Affermazione che corrisponde al vero ( i 64 anni sono il frutto di un compromesso con i Repubblicani, il partito di destra moderato, i cui voti sono fondamentali per far approvare la riforma all’Assemblea Nazionale), ma questa sua dichiarazione è, però, rivelatrice di importanti contraddizioni. Il Presidente è stato eletto al secondo turno dell’elezioni grazie al voto anche di una gran parte dell’elettorato di sinistra, che voleva impedire il successo dell’estrema destra. Lo stesso Macron, nel suo primo discorso pubblico, lo aveva apertamente riconosciuto dicendo di essere cosciente “di non avere ricevuto un voto totalmente di adesione”. Al primo turno dell’elezioni legislative il suo partito ha ottenuto il 25,7% dei voti, la sinistra unita (Nupes) il 25,6%, l’estrema destra della Le Pen il 18,6%, i Repubblicani l’11, 29%.

Nel momento in cui il 70% dei francesi si dice contrario alla riforma perché la ritiene ingiusta socialmente, Macron fa capire di contare sulla stanchezza e la rassegnazione della popolazione nel lungo periodo, si dice convinto che il Paese non sarà immobilizzato dagli scioperi e che è comunque pronto a ricorrere all’articolo 49/3 della Costituzione, che permette di far votare una legge senza il dibattito parlamentare. E, in ogni caso, farà certamente ricorso all’articolo 47/1, che permette di limitare a 50 giorni la discussione in aula.

La domanda legittima,  avanzata da molti osservatori,  è la seguente: si può governare in questo modo rappresentando solo un quarto dell’elettorato? Quando fu eletto per la prima volta, nel 2017, Macron disse che avrebbe prosciugato l’elettorato dell’estrema destra. Obiettivo clamorosamente mancato e solo la capacità della sinistra di unirsi – malgrado le tante contraddizioni su cui ritornerò- ha evitato il peggio nel 2022. Se si pensa, oggi, nella prospettiva delle presidenziali del 2027, non si capisce né si intravede chi possa essere il successore di Macron all’interno del suo movimento e sulla scena nazionale l’unico leader forte rimane Marine Le Pen, la quale conta di approfittare anche del malcontento sulle pensioni. Anche se per il momento il suo partito non ha aderito alle manifestazioni.

Una scorciatoia pericolosa

Qual è l’errore di Macron? Quello di sottovalutare il ruolo dei corpi intermedi. Convinto che i partiti e i sindacati rappresentino solo delle minoranze, il presidente ritiene fondamentale potere prendere in modo rapido le decisioni importanti, stabilendo un dialogo diretto con la società francese. Certo, in Francia come in Italia, “in basso” si possono trovare realtà importanti composte dal volontariato, da esempi di notevole capacità imprenditoriale, da esperienze di grande qualità nel campo dell’educazione e della formazione, una cultura diffusa dell’autonomia e dell’auto-organizzazione. Ma, anche, e talvolta soprattutto, solitudine, incertezza sul futuro, impieghi precari, povertà, disillusione e disperazione. Fasce della società che avrebbero bisogno d’interlocutori vicini a loro, capaci di non farle sentire abbandonate e senza alcuna possibilità di essere ascoltate.

Parigi, Manifestazione intersettoriale indetta da tutti i sindacati per protestare contro la riforma delle pensioni
Scontri tra dimostranti e polizia durante la dimostrazione contro la riforma delle pensioni a Parigi, Francia, del 19 gennaio 2023. Photo by Florian Poitout/ABACAPRESS.COM / ipa-agency.net / agenzia Fotogramma

Pensare di governare contando sulla stanchezza e la disillusione è un grave errore, che favorisce soltanto l’estrema destra. Questo è anche il terreno su cui si decide il futuro della sinistra. L’esperienza elettorale della Nupes fa fatica a consolidarsi e a far nascere una nuova classe dirigente. E’ probabile che alle prossime elezioni europee i diversi partiti presentino liste separate. Il Partito socialista ( dopo 1,7% ottenuto alle presidenziali) si sta ulteriormente lacerando durante un congresso in cui i candidati alla direzione si accusano reciprocamente di brogli nel voto interno. Eppure, dovrebbe essere chiaro come la protesta in Francia e gli scioperi in Gran Bretagna dimostrino la centralità del tema del lavoro e del rifiuto delle diseguaglianze. Questo è il senso profondo della mobilitazione dello scorso 19 gennaio in Francia: non vogliamo più considerare inevitabile il peggio e normali e accettabili ingiustizie e riforme inaccettabili.

Sono temi che attraversano anche il dibattito nei congressi della CGIL in Italia. In ultima analisi, l’obbligo per la sinistra e il movimento sindacale di non lasciare sole le persone con le loro preoccupazioni e di promuovere un sano conflitto politico capace di selezionare le energie migliori di un paese.