Il Pd ha bisogno
della svolta ma anche di essere un partito

Se la “svolta” annunciata dal segretario del Pd Nicola Zingaretti sarà sancita davvero con l’adozione di un altro nome (“i Democratici”), i partiti usciranno definitivamente dalla scena politica italiana. In senso nominale, si intende: dal punto di vista sostanziale i colpi esiziali sono già stati inferti in Parlamento con l’abolizione di ogni forma di finanziamento pubblico (e su iniziativa proprio dei governi a guida Pd, illusi di placare così i grillini e la loro sete di sangue della casta altrui). Ma è un fatto che a questo punto nessuna formazione politica nel nostro Paese si etichetterebbe più come partito: a cominciare dalle ultime nate dalle scissioni dem. Partito sembra ormai per tutti una parolaccia.

La necessità di una svolta

E’ una questione che ai più apparirà di pura lana caprina di fronte ai temi e alle emergenze che i partiti (cioè le formazioni politiche) devono affrontare di questi tempi. Eppure proprio questo aspetto è rivelatore del modo e dei limiti con cui è stata abbozzata la proposta politica del segretario democratico. La “svolta” annunciata nasce da un’esigenza reale: quella di rilanciare e rivitalizzare il partito della sinistra riformista, che dopo poco più di un decennio di vita appare già vecchio e logoro. Un impegno non da poco. Che dovrebbe partire da uno sforzo programmatico (e valoriale) molto profondo. Sui temi più cari alla sinistra: welfare, lavoro, immigrazione, sviluppo sostenibile. Sulle alleanze. Sul modo di stare al governo. Sul ruolo dell’Italia in Europa e nei consessi internazionali. Sulla ricostruzione del partito.

Ma le argomentazioni finora usate per la “svolta” dicono poco su tutto questo e indugiano, al contrario, su temi non proprio originali. Si insiste ad esempio sulla necessità di “aprire” il Pd o quel che sarà alla “società civile”, ai movimenti come quello delle sardine, ai sindaci e agli amministratori locali. Tutto già sentito.

Quella dei rapporti del partito con la società del resto è una questione antica. Quando la politica non era subalterna ed esprimeva posizioni forti, l’interlocuzione con gli altri soggetti sociali (sindacati, movimenti eccetera) era assidua, ma si svolgeva all’insegna dell’autonomia di ruolo e di progetto. Con l’indebolimento della politica e dei partiti, il confine si è fatto via via più labile. E a ogni crisi o difficoltà a sinistra ci si è sempre appellati a una non meglio definita “società civile”, magari ricercando lì nuove possibili figure di riferimento: dai girotondi alle sardine, in fondo, la storia si ripete.

Ma di apertura in apertura si è arrivati al paradosso di un partito che sceglie il suo leader dall’”esterno”, con primarie alle quali possono partecipare tutti, ma proprio tutti. Quale ulteriore “apertura” è ipotizzabile oggi?

Allo stesso modo si vuole rilanciare il ruolo dei sindaci e degli amministratori locali, come se fino ad oggi fossero stati penalizzati o messi ai margini: eppure ben due dei quattro leader eletti finora dalle primarie (Veltroni e Renzi) vengono esattamente dalla guida delle città. E in quel bacino si tornerà probabilmente a scegliere in futuro, i nomi non mancano, tanto più in tempi in cui una vittoria amministrativa sulla destra dilagante dà ancora più forza (e in qualche caso carisma) a chi la ottiene.

Slogan di rinnovamento e vecchie questioni

Il rischio, insomma, è quello di avvitarsi su questioni vecchie o addirittura inesistenti, a dispetto degli slogan sul rinnovamento.

La vera innovazione passa invece dal coraggio della chiarezza. Sta qui la sfida per il segretario Zingaretti. Un grande vecchio della sinistra (ma tra i più vivaci e anticonformisti) come Emanuele Macaluso lo invita a sciogliere quanto prima i nodi più controversi al governo, a cominciare dall’immigrazione e dalla giustizia. Certo, sulle spalle di Zingaretti pesa la responsabilità di tenere in vita un esecutivo traballante, dove tutti gli altri – come spesso ama dire – vogliono solo piantare delle bandierine.

Ma il senso di responsabilità non può portare a mettere in ombra la bandiera del Pd. Anzi, se un congresso ci sarà per avviare la nuova fase, dovrà puntare innanzitutto a un suo rafforzamento: riorganizzando le fila, rinnovandolo anche negli strumenti, favorendo le leadership femminili e l’affermarsi di una nuova classe dirigente. Senza rinunciare magari a chiamarsi partito.