Pd, se D’Alema
diventa un alibi
per non cambiare

Le polemiche aperte da alcuni settori del Pd (in massima parte renziani) dopo il convegno di Italianieuropei sulla sinistra possono apparire surreali, ma in realtà sono rivelatrici di una cultura politica messa profondamente in discussione dal voto del 4 marzo.  Andiamo con ordine. Al centro della polemica c’è naturalmente Massimo D’Alema, uno dei principali esponenti della sinistra riformista in Italia e in Europa nel corso di questi decenni. Le sue ultime scelte – dal referendum sulla Costituzione alla nascita di Liberi e uguali – sono in netta contrapposizione con il partito, il Pd, che pure aveva contribuito a fondare. Per l’ex gruppo dirigente democratico, a dominio renziano, è dunque diventato uno dei nemici assoluti, quanto (se non più di) Salvini e Di Maio. E il solo fatto che oggi il presidente di Italianieuropei interloquisca con chi si candida a ricostruire il Pd e il più ampio campo del centrosinistra, diventa – per dirla col renziano Giachetti – “un incubo”. Da scagliare addosso naturalmente a quell’area che si è raccolta attorno al candidato favorito alle primarie democratiche, Nicola Zingaretti, nel segno della discontinuità con la stagione renziana nel Pd e nel centrosinistra.

Il primo fronte della polemica appare dunque segnato da una strumentalità del tutto interna, o meglio congressuale. Lo stesso D’Alema, dicendosi sorpreso dagli attacchi, ha ribadito che rimarrà al di fuori del congresso e delle primarie del Pd, con buona pace di chi non si indignava neanche un po’ quando ai gazebo si presentavano Gustavo Selva o vari esponenti  locali del centrodestra.

Ma è il secondo aspetto della questione a meritare più attenzione: quello dei contenuti. L’intervento di D’Alema è stato dedicato in buona parte a sviluppare una documentata critica e autocritica sulle scelte fatte dai socialisti e dalla sinistra europea nei primi decenni della globalizzazione. Poco o per nulla “diffidente” nei confronti di un capitalismo che ha usato questo passaggio d’epoca per incrementare i suoi vantaggi e le diseguaglianze nel mondo occidentale. Poco o per nulla attenta alle istanze e a volte alla disperazione delle fasce più deboli, sempre più impoverite. Naturalmente anche in Italia, dove pure il centrosinistra si è alternato al governo con la destra, fino all’irrompere della coalizione xenofobo-populista di Lega e 5 Stelle.

Emmanuel Macron

Ora proprio questo dovrebbe essere evidentemente il fulcro del prossimo congresso democratico, se si vuole davvero dare vita a un congresso degno di questo nome. Cosa deve essere la sinistra oggi? Quale blocco sociale, quali interessi di riferimento? Assieme all’irrevocabile scelta europeista, come si intendono tutelare le fasce più deboli della popolazione? Non è un mistero che dal centrosinistra e dallo stesso Pd vengono risposte diverse, ci sono sensibilità differenti, come ha analizzato Pietro Spataro su Strisciarossa. Chi guarda a Macron come a un modello, chi ritiene che un europeismo senza una connotazione sociale sia non solo elitario ma destinato a una sconfitta di lunga durata. Il problema è far convivere questi punti di vista, senza rinunciare però a una chiara direzione di marcia, evitando l’ennesima scissione e interrompendo una volta per tutte la pessima abitudine di chi perde e se ne va portando via il pallone (citazione di Renzi all’epoca della scissione di Leu…).

Una volta i congressi dei partiti della sinistra (e non solo), al di là di un eccesso di ritualità, partivano dall’analisi di grandi temi, mettevano in primo piano assieme alla contingenza politica le questioni legate alla propria cultura politica. Proprio lo stato di grande difficoltà e disgregazione del campo progressista richiederebbe, almeno in questo, un ritorno all’antico. Il problema è esserne all’altezza. I dubbi non mancano. Non a caso si preferisce evocare “il ritorno di D’Alema” o  accusare l’avversario congressuale di “intelligenza col nemico”, leggi 5 Stelle. Uscire da questo schema è la pre-condizione perché dal congresso del Pd (e dalla discussione in tutta la sinistra) possa spuntare davvero un seme di speranza.