PD e liste elettorali:
e questo sarebbe
il rinnovamento?

Spiace dirlo, ma non ci siamo. Se uno degli elementi che avrebbero dovuto caratterizzare la svolta del nuovo PD a trazione Zingaretti doveva essere la composizione delle liste per le prossime elezioni europee – proprio non ci siamo. Né per il metodo, né per il merito. E, conseguentemente, neppure per i probabili risultati.

Era chiaro da tempo: il 26 maggio gli elettori diranno se hanno colto, e hanno apprezzato, le novità connesse con la nuova guida politica del partito, e se dunque è davvero cominciata la lunga marcia per una riscossa più o meno imminente. Malauguratamente, le premesse sono tutt’altro che incoraggianti. Si trattava di dimostrare che era davvero chiusa la fase dominata dal renzismo, e da un non meno pernicioso antirenzismo. Che si era capita la lezione proveniente dalla batosta elettorale dello scorso anno. Che si intendeva aprire una fase di radicale discontinuità, per non arrendersi all’ipotesi di un inesorabile e irreversibile tramonto.

Bene, per testimoniare un cambio così radicale, in sede di compilazione delle liste, cosa si fa? Si ripropone, neppure tanto aggiornata, l’immagine di un PD né carne né pesce, né liberaldemocratico né socialista, né riformista né massimalista, né centralista né federalista, né ambientalista né iperindustrialista. Convinti di essere furbissimi, e persuasi di riuscire a gabbare milioni di elettori, si tira fuori come candidato a nordovest Pisapia, ripescandolo dal fallimento clamoroso (e non casuale) dell’esperienza del “campo progressista”. A nordest si piazza Calenda, con l’idea astuta di convincere i  ceti imprenditoriali che la copia (Calenda, appunto) è meglio dell’originale (un qualunque esponente leghista appena dignitoso). Per il Sud si opta per due anime belle (detto senza ironia), quali l’ex procuratore nazionale antimafia e il medico promigranti di Lampedusa, mentre nel resto delle liste si ricorre al mai definitivamente cancellato metodo della spartizione fra le correnti, pardon le “anime”, ancora ben vive e vegete. Spariscono completamente, senza una sola parola di spiegazione, i nomi di alcuni possibili candidati – primissimo fra tutti un forse per loro insignificante personaggio come Massimo Cacciari – ai quali evidentemente non si perdona la libertà di pensiero e un consenso di massa assolutamente trasversale.

Non si capisce come si possa realisticamente pensare che da questo guazzabuglio velleitario e evanescente possa magicamente scaturire l’identità del nuovo partito. Insomma, nella migliore delle ipotesi, si riuscirà ad intercettare qualche punto in percentuale di delusi dai cinquestelle (per demerito dei grillini, non per meriti del PD), senza tuttavia fare un solo passo avanti su un piano ben più importante, quale è la delineazione di una strategia complessiva non schiacciata sulla scadenza elettorale. Di nuovo un’occasione mancata, dunque. Ma quante ancora ne verranno sprecate, prima di poter assistere ad un vero cambiamento?