Pd, bene la gestione unitaria purché non annacqui la svolta di Schlein

Elly Schlein ha iniziato il suo lavoro da segretaria del Pd all’insegna di un registro doppio, che all’apparenza ha convinto il partito, o almeno la mastodontica assemblea nazionale di domenica 12 marzo: ferma nelle sue posizioni (cosiddette “radicali”, nella semplificazione di commentatori mai tanto pigri e spiazzati da un fenomeno che in realtà era visibilissimo se solo gli si fosse prestato un minimo di attenzione) e aperta alla gestione unitaria del partito.

Siamo alle battute iniziali del suo lavoro e il bon ton politico, sul quale nessuno aveva dubbi, di Stefano Bonaccini, l’aspirante segretario sconfitto divenuto presidente del Pd, le ha certo facilitato l’esordio. Riducendo l’evento a battuta si potrebbe dire che Schlein ha fatto la prima difficile alleanza, quella del “suo” Pd con l’”altro” Pd. Vedremo ora se questo esordio di intenti verrà confermato nella formazione della segreteria.

Elly Schlein e Stefano Bonaccini, ph Massimo Alberico / agenzia Fotogramma
Elly Schlein e Stefano Bonaccini, ph Massimo Alberico / agenzia Fotogramma

La collaborazione di Bonaccini

C’è da dire che le prime mosse di Schlein, premiata in modo significativo dai sondaggi, sono state coerenti con il profilo del personaggio: ha partecipato alla manifestazione antifascista di Firenze dopo l’aggressione di una squadraccia di destra ad un gruppo di studenti del liceo Michelangiolo, ha portato un segno di civiltà politica a Cutro dopo il drammatico naufragio di un barcone nel quale sono morti almeno 78 migranti, ha pronunciato un durissimo discorso alla Camera contro le politiche del governo sull’immigrazione.

C’è poi da registrare l’appassionato scontro di mercoledì 15 marzo in Parlamento con Giorgia Meloni sul salario minimo che ha ancora una volta scoperto l’atteggiamento supponente e particolarmente maleducato della presidente del Consiglio la quale, alle proposte di merito della segretaria del Pd, ha opposto il solito ritornello del “perché non l’avete fatto voi?, noi siamo qui da poco”: mai, prima d’ora, si era vista Meloni in così seria difficoltà dialettica di fronte all’accusa di incapacità e insensibilità.

Certo, la contingenza imponeva tutto questo. Ma se l’atto d’accusa al governo inadeguato e inumano è deflagrato, è stato anche grazie alla fermezza di Elly Schlein.

Ma lo sappiamo che, per lei, la scommessa inizia adesso ed è scontato che vecchio e nuovo troveranno occasioni per scontarsi.

C’è un dato che, però, può mettere al sicuro la “linea Schlein”: il riavvicinamento al Pd di un numero che pare essere significativo dei dem provenienti dal disimpegno. Non è solo la ripresa del tesseramento ad essere incoraggiante, non è neanche l’ingresso nel Pd di Articolo 1 a fare la differenza: è proprio la voglia di tornare alla militanza di tanti che erano cresciuti in sezione e poi nei circoli del Pd e che ad un certo punto non si sono più sentiti a casa loro.

La diaspora dei militanti

È stata una diaspora su cui poco si è riflettuto ma che ha letteralmente svuotato il partito portando gli iscritti a numeri quasi irrisori ed ha fatto mancare la materia prima della vita politica e cioè gli uomini e le donne che per un’idea ci mettono la faccia, animano i banchetti e i gazebo, tengono aperte le sedi. Forse c’è vita oltre il partito liquido, forse c’è voglia di affrontare i nodi della politica 365 giorni all’anno e non solo in vista di questa o quella tornata elettorale. Ecco, se Schlein riuscirà a far sentire il Pd la casa di tutti, come non lo è da parecchio tempo, avrà già compiuto un mezzo miracolo che a lei renderà la vita più facile e ai suoi oppositori più difficile.

Schlein ha impostato il suo mandato da segretaria su “titoli” netti e non scontati per quello che era diventato il Pd nella trottola delle infinite gestioni che si succedono dal 2007: sanità pubblica, scuola pubblica, salario minimo, lotta alla precarietà, ius soli, no all’autonomia differenziata della Lega, ecologia integrale, nuovo protagonismo sociale e lavorativo delle donne. E poi la ricostruzione, o forse sarebbe meglio dire la “invenzione”, di un welfare i che non sia solo protezione sociale e sostegno dei redditi, ma migliori il capitale umano e promuova l’occupazione femminile.

No all’unità fittizia

È un cambio di paradigma, il welfare torna ad essere universalistico, centrato come lo era nella sua stagione migliore sui servizi e non come è oggi sui bonus e su invenzioni che somigliano a mance, con risorse provenienti da un fisco veramente progressivo perché così vuole la Costituzione. E alle imprese devono essere chiesti servizi, ricerca, creazione di infrastrutture in tempi certi in un quadro di salari adeguati e diritti dei lavoratori garantiti.

Difficile dire chi avrà il coraggio di opporsi a questa traiettoria politica, difficile anche immaginare quanto Dna di lotta sia rimasto nel Pd dopo una lunga e immeritata stagione di governo. E neppure è facile prevedere come nel sempre mutevole scenario di guerra riuscirà Schlein ad affermare una linea adeguata alla gravità del momento.

Allora ben vengano pure le gestioni unitarie del Pd purché si sappia che le sfide vere, della svolta Schlein, sono altre. E soprattutto sono alte e non vanno sacrificate sull’altare di una unità fittizia del gruppo dirigente.