Oltre la legge Zan: laicità, laicismo,
pluralismo e sentimento religioso

È opinione diffusa che uno Stato si definisce laico quando assume un atteggiamento sostanzialmente neutrale nei confronti di qualsiasi confessione religiosa. A ciascuno il suo Paradiso, senza mai confondere il trono con l’altare.

La nota verbale vaticana, con la quale si esprimono perplessità nei confronti del disegno di legge Zan, suscita non poche polemiche, dividendo non solo nel merito della questione, ma anche nel metodo. In molti si chiedono se quella di Oltretevere sia una ingerenza nei confronti della Repubblica italiana, del suo ordinamento e della sua indiscutibile autonomia nel produrre leggi proprie, oppure se sia una legittima esternazione di un punto di vista di parte.

Senza dubbio l’intervento della Santa Sede ha il merito di sollecitare il dibattito su un provvedimento che, seppur approvato a novembre dalla Camera, ristagna da mesi al Senato, in attesa di un voto decisivo. I ritardi nella calendarizzazione testimoniano le divergenze sul testo di legge, ma i dubbi esternati dal clero aiutano a puntare i riflettori su un tema che le forze politiche non possono più eludere.

Ciò detto, il ping-pong mediatico degli ultimi giorni riporta alla luce un dibattito, mai effettivamente sopito, sul complicato concetto di laicità e sulle sue conseguenze nella vita quotidiana. Il mondo giuridico-filosofico tende a distinguere la parola “laicità” da quella di “laicismo”, attribuendo alla prima il significato di “condizione personale” e alla seconda quello di “posizione”. In sostanza, la laicità sarebbe lo status con cui identificare tutti coloro che non appartengono al ministero ecclesiastico-religioso, mentre il laicismo consisterebbe nell’atteggiamento di esclusione della religione dalla sfera pubblica. Queste differenze sottili, ma determinanti, sono strettamente legate ad altre distinzioni, come quella che tende a separare il “secolarismo” dalla “secolarizzazione”. Il primo termine identifica una ferma intransigenza dell’attività politica nei confronti della religione, con l’obiettivo di respingerla dalla sfera pubblica. Il secondo, invece, esprime un complesso processo sociale di desacralizzazione, più spontaneo che intransigente, che può riguardare la società nel suo complesso, comprese le istituzioni religiose.

La frase “lo Stato è laico”, dunque, impone una serie di riflessioni a cascata, connesse con altri termini che, se analizzati, costringono a commenti tutt’altro che semplici. Il rapporto tra le istituzioni pubbliche e quelle religiose, per esempio, incrocia il tema delle libertà e del patrimonio culturale che entrambe rappresentano. Mario Draghi, durante il suo intervento al Senato, ha citato la sentenza della Corte Costituzionale n. 203 del 1989, ricordando come sia compito dello Stato, in quanto laico, la tutela del pluralismo e delle diversità culturali. Quella stessa sentenza precisa anche che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, facendo capire come la funzione della Chiesa sul territorio repubblicano, a cominciare dall’insegnamento della religione nelle scuole, abbia anzitutto una importante valenza culturale e liberale. La neutralità delle istituzioni pubbliche, infatti, non è indifferenza. La libertà dello Stato e dell’individuo dalle ingerenze religiose è complementare al concetto di libertà delle religioni di esprimere loro stesse e il proprio patrimonio ideologico-culturale. L’equilibrio tra queste due libertà, “la libertà di” e “la libertà da”, trova una sintesi nella coscienza individuale del cittadino, che si esprime secondo valutazioni personali. La moltitudine di persone che ha sfilato al “Gay Pride” di Roma e Milano, sabato 26 giugno, come “credenti delle piazze arcobaleno” è un esempio pragmatico di questo concetto. La loro posizione è dentro la Chiesa, intesa essa come ampia comunità spirituale, ma in dissenso con alcune opinioni espresse dalla Curia.

La diversità degli orientamenti alimenta il progresso di una società pluralista, che non può rifiutare le idee del prossimo. Nonostante questo principio, però, il sistema non tollera (almeno formalmente) alcun tipo di estremismo, specie nel rapporto con le confessioni religiose. Lo Stato, infatti, non può essere eccessivamente intransigente verso l’universo religioso, così come non è ammesso un eccesso di interventismo religioso negli affari pubblici.

Ma ecco che, inevitabilmente, si pone la domanda su quale sia la linea di confine tra ingerenza e libertà di pensiero, specialmente quando si considerano le posizioni ufficiali della Chiesa. Probabilmente, al netto del difficile e delicato tema, bisognerebbe valutare situazione per situazione, nella consapevolezza che un conto è l’intervento volto alla “salvezza delle anime”, un altro è quello della “Chiesa-lobby” in difesa di interessi particolari. Un conto è parlare di una opinione espressa, ancorché ufficiale, come quella relativa al caso della legge Zan, un altro è l’invito esplicito alle masse cattoliche ad agire in un determinato modo, come è stato nel caso del referendum sulla procreazione assistita. Sulla questione dell’ingerenza e del suo confine in difesa del principio della laicità sembra complicato trarre una lezione univoca, che prescinda dall’analisi del singolo caso.

Un elemento interessante, però, suscita attenzione. La nota verbale del 17 giugno ha fatto emergere dalla nebbia politica le voci dei laici più clericali del clero stesso che, senza perdere tempo, hanno manifestato perplessità più forti di quelle della Chiesa. Molti di loro non sono solo sostenitori della maggioranza di governo, ma anche membri di quel polo di centro-sinistra che ha partorito il disegno di legge. Il vero ostacolo all’approvazione della norma, dunque, non risiede tanto nelle perplessità di un pezzo del mondo ecclesiastico, quanto più dentro la maggioranza variabile di governo che, nonostante la sua ampiezza, è tutt’altro che unita. Probabilmente, nell’affrontare temi così complessi e delicati, sono gli stessi laici a doversi porre in modo stringente un interrogativo in più sul concetto stesso di laicità. Proprio per non cadere nell’errore, più o meno inconsapevole, di confondere il trono con l’altare, senza nemmeno appartenere all’uno o all’altro.

Ma allora, in sostanza, che cos’è la laicità dello Stato? Da dove iniziare questa riflessione? Cattolici e non, atei, credenti o agnostici, forse, potrebbero partire dalle parole di Pietro Scoppola, intellettuale cattolico che, interrogandosi sul tema, in un’intervista rilasciata per il quotidiano “la Repubblica” nel dicembre 2002, afferma: “Il rapporto fede-democrazia per me significa accettare la libertà come condizione di convivenza, basata sul rispetto delle idee altrui. L’accettazione della democrazia come meccanismo, che garantisce l’espressione di una società complessa. In questa visione la legge è il punto di equilibrio possibile tra diverse posizioni. È questo il senso profondo della laicità dello Stato.”

Un senso su cui saremo sempre destinati a riflettere.