Non sono parole “senza idee”: dicono come la destra vuole l’Italia

Ci vuole un fisico bestiale per dar retta a quella schiera di raffinati intellettuali e pure di giornalisti che ci raccomandano dai nostri schermi di giudicare il governo Meloni per quello che fa, finalmente rinunciando a pretendere patenti di antifascismo o di fedeltà a una Costituzione antifascista, nata dalla lotta di Liberazione dal nazifascismo e dal quel regime che in vent’anni era riuscito ad assassinare Matteotti, a lasciar morire in carcere (in una clinica, all’ultimo) Antonio Gramsci, a progettare crimini e misfatti di varia sanguinaria natura, a cancellare la democrazia, a varare le leggi razziali, a condurci ad una guerra disastrosa, a contribuire alla deportazione di ebrei, oppositori, lavoratori, tutti colpevoli di inquinare il bel paese (o semplicemente di scioperare per il pane, come accadde nel ’43 e nel ’44). Potrebbero bastare, per replicare, le parole del presidente Mattarella ad Auschwitz: “Siamo qui oggi a rendere omaggio e fare memoria dei milioni di cittadini assassinati da un regime sanguinario come quello nazista, che, con la complicità dei regimi fascisti europei, che consegnarono propri concittadini ai carnefici, si macchiò di un crimine orrendo contro l’umanità. Un crimine atroce che non può conoscere né oblio né perdono…”. Per gli smemorati di casa nostra, fascisti o neo fascisti (notizia relegata in un richiamo ad una colonna nella “prima” del Corriere, non parliamo neppure dei fogli della destra).

Ci vuole un fisico bestiale, perché loro, i fratelli o gli zii o i nonni di Giorgia, ce la mettono tutta per riportare a galla quel passato, come se in testa avessero un algoritmo che induce per conto suo la parola o certe parole, al punto che a volte viene da chiedersi: questi pensano anche?

Il ministro Lollobrigida

Sentiamo ad esempio Francesco Lollobrigida, il cognato, un ministro della Repubblica, il quale non esita a proclamare che “non possiamo arrenderci all’idea della sostituzione etnica: gli italiani fanno meno figli, quindi li sostituiamo con qualcun altro”. Gli riconosciamo una certa cultura, avrà letto e riletto il famigerato periodico “La difesa della razza” (fondato da Mussolini, Almirante redattore capo), ma gli dobbiamo attribuire pure un certa incoerenza, visto che non rinunciò anni fa a celebrare Rodolfo Graziani, criminale di guerra, evidentemente condividendone certi ideali e certe pratiche di “sostituzione etnica”, quando il fascismo lo mandò in Libia e in Etiopia a sistemare le cose a colpi di patiboli, di bombe e di iprite. Grossolanamente si potrebbe giudicare che Lollobrigida non sa quel che dice, che non ha occhi per guardarsi attorno e vedere, che non sa leggere i cambiamenti di questo mondo. Uno sprovveduto. Ma forse, oltre l’apparenza, c’è quell’intimo, profondo, incancrenito fascismo, che il nostro ministro dell’agricoltura oggi sa di poter mostrare alla “Nazione” tutta. Verrebbe, storpiando una celebre citazione, di catalogare tale esternazione ed altre simili nella categoria delle “parole senza idee”, buttate là per compiacere oltre che se stessi anche una platea di fans, testimoni di una storia trascorsa invano, vittime del decadimento della cultura e della politica, dell’insorgere indotto di individualismi, egoismi, pregiudizi, dell’aggressione continua a una “religione civile” che la Resistenza aveva contribuito a scrivere, tra valori di solidarietà, giustizia, eguaglianza, che dovrebbe ancora guidare qualsiasi politica di governo di una sinistra di governo.

Ma non sono solo “parole senza idee”: alla base di quelle parole, un’idea c’è e non è solo nostalgia, ma anche, per rispondere ai nostri intellettuali e ai colleghi giornalisti, disegno politico che tocca questioni come l’immigrazione, le tasse, il lavoro, la scuola, la sanità… se si perseguitano gli immigrati, se si tagliano le tasse ai ricchi, se si rende sempre più precario il lavoro, se si privatizza la sanità, se si discriminano i poveri. L’antifascismo significa strade contrarie. Non si possono tagliare i ponti tra l’antifascismo e le scelte d’oggi.

L’elenco delle esternazioni dal “sen fuggite” è ormai ampio, slogan o propositi che rifanno la storia, caposaldo della riscrittura la “banda dei pensionati” di via Rasella, autore come si sa addirittura Ignazio La Russa, seconda carica dello stato, o progetti che potrebbero diventare leggi: le multe per chi usa termini inglesi, l’idioma della perfida Albione, nella pubblica amministrazione, come propone il deputato Rampelli; oppure il “liceo del made in Italy”, come autorevolmente programma per il 2025 il ministro delle imprese, Adolfo Urso,  il primo sanzionabile da Rampelli, visto che avrebbe dovuto dire: il “liceo del fatto in Italia”. Persino, notizia recente, qualcosa per la regia del ministro Giorgetti che evoca la tassa sul celibato.

Si potrebbe continuare. Ma vogliamo giungere in fretta al capo del governo che, mentre la ministra Calderone denuncia la mancanza per il nostro sistema produttivo di tante braccia (alla lettera: “Non si trovano un milione di lavoratori”), subito, confermando la vitalità di pensiero concretissimo del nostro esecutivo, invita dalla Fiera del Mobile di Milano le donne a rimboccarsi le maniche, a fare figli (per evitare la sostituzione etnica) e ad andare a lavorare. Già compaiono quegli storici manifesti con al centro la solida bracciante padana o campana, fazzoletto a fiorellini in testa, fascio di spighe sotto il braccio, paffuto figlioletto accanto, sullo sfondo una distesa di prati felici, già si pensa ad allegre raccoglitrici di pomodori (cancellando il ricordo di quella donna morta di caldo e di fatica in Puglia, cancellando sfruttamento e violenza) e di patate, partorienti in mezzo ai campi o lungo i sentieri di montagna, tra le mucche e le capre, come s’usava un tempo. Nell’Italia “rurale”.

Il presidente del Senato La Russa

Al Senato si dovrebbe discutere, proprio oggi, una mozione dell’opposizione. Chiede che “le commemorazioni delle date fondative della nostra storia antifascista si svolgano nel rispetto della verità storica condivisa e possano, solo così, essere terreno fertile per il mantenimento e la costruzione di un’identità collettiva e del senso di appartenenza a una comunità”. Date fondative: il 25 aprile, festa della Liberazione;  il 1 maggio, festa del Lavoro; il 2 giugno, festa della Repubblica. Richiamo a quanto disse Liliana Segre il 13 ottobre 2022, primo giorno della legislatura. Secondo la verità enunciata dal presidente Mattarella. “Non ci tocca”, hanno commentato i fratelli di Giorgia, che si recherà all’Altare della Patria, costruito per celebrare Risorgimento e Unità d’Italia, poco più in là rispetto a Palazzo Venezia e al suo celebre balcone, nella piazza delle “oceaniche adunanze”, dimostrando un’altra volta la sua paura del 25 Aprile.