Non solo Cucchi:
depistaggi e silenzi
all’ombra dell’Arma
A chi non è intossicato dalla martellante propaganda neoleghista viene spontaneo chiedersi se è normale che – quando un gruppo di africani (con la complicità, pare, di alcuni italiani) droga, stupra e uccide una povera ragazza – tutti i neri “diventino” complici degli assassini; cosicché si apre la consueta caccia razzista, col tradizionale fischio di avvio da parte di Matteo Salvini, ministro, vicepremier, leader della Lega e campione di esibizionismo online. Invece se un gruppo di carabinieri (dai non graduati ai superiori fino ad alti livelli), tanto per divertirsi, massacra di botte (a Roma, mica in un paesino sperduto) un ragazzino, per poi insabbiare e ostacolare 9 anni di indagini, l’Arma si autoassolve: sarebbero solo poche e isolate mele marce. Premesso che siamo tutti riconoscenti alla grandissima maggioranza di carabinieri fedeli al loro compito e al Paese, le parole del loro comandante generale Giovanni Nistri lasciano perplessi per scontatezza, di fronte a un caso che sta scuotendo la Benemerita dalle fondamenta.
Ricapitolando, durante l’inchiesta e il processo bis per l’assassinio nella Capitale di Stefano Cucchi (avvenuto dopo il suo arresto per qualche grammo di droga, nel 2009), alcuni militari hanno finalmente parlato, svelando che è stato un omicidio da parte di alcuni colleghi. Sono Riccardo Casamassima e la moglie Maria Rosati, carabinieri che con le loro dichiarazioni hanno permesso la riapertura del caso. Davanti ai giudici avevano raccontato di ritorsioni sul lavoro per avere parlato del pestaggio di Cucchi. Poi c’è Francesco Tedesco, uno degli imputati del procedimento in corso: dopo aver accusato del massacro i coimputati Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, si è trasformato in un testimone chiave.
Di fronte a rivelazioni di questa portata, il comandante generale Nistri (ricordiamolo ancora: ben 9 anni dopo l’assassinio…) ha reagito così, in ordine cronologico: – 1) “Quando sarà fatta chiarezza su tutti gli aspetti di questa vicenda disonorevole, l’Arma prenderà i propri provvedimenti, e saprà farlo con il massimo rigore, senza remore e senza riguardi per gli eventuali colpevoli” (intervista al giornalista Giovanni Bianconi sul Corriere, 13 ottobre); più che ovvio. – 2) “Centomila carabinieri sono molti ma molti di più dei pochi che possono dimenticare la strada della virtù” (durante la cerimonia per i 40 anni dei Gis, 18 ottobre); certo che è così, ci mancherebbe altro… – 3) “Noi siamo al fianco della magistratura che è riuscita ad aprire questo spiraglio di luce” (stessa intervista); è il minimo che ci si può aspettare. – 4) «Siamo di fronte a un singolo episodio… La gravità di ciò che è accaduto non si discute, ma è un episodio che non rispecchia la normalità del modo di procedere dell’Arma» (stessa intervista); non avevamo dubbi. – 5) “Non si può credere che i carabinieri siano ciò che emerge dalla dolorosa vicenda umana di Stefano Cucchi e dai suoi sviluppi giudiziari. Non è così, infatti, e lo dimostreremo, appena saranno chiare le precise responsabilità, che sono sempre personali, attraverso ogni provvedimento consentito dalla legge: a seconda dell’entità, le punizioni, finanche le rimozioni. Perché chi risulti colpevole di reati infamanti non potrà indossare la divisa” (lettera a Repubblica, 27 ottobre); in effetti non ci stiamo aspettando che prendano una medaglia.
Inoltre, non si può poi dimenticare la sensazione ricavata da Ilaria Cucchi, la sorella di Stefano, dopo l’incontro del 17 ottobre con il numero uno dell’Arma: “Dal generale Nistri mi sarei aspettata non dico delle scuse, perché sarebbe potuto essere per lui troppo imbarazzante, ma certo non 45 minuti di sproloquio contro Casamassima, Rosati e Tedesco, gli unici tre pubblici ufficiali che hanno deciso di rompere il muro di omertà nel processo”, ha raccontato.
Questa apparente superficialità nell’affrontare il caso non depone a favore, se così fosse, della necessaria competenza nello svolgimento di altre indagini. Di certo, invece, la professionalità è palese quando le inchieste riguardano altri: di sicuro, anche il comandante Nistri – se dovesse indagare su un crimine commesso, nascosto e insabbiato per quasi un decennio dentro una grande azienda – si farebbe sorgere il sospetto che i vertici “non potessero non sapere” oppure ne dedurrebbe che quei vertici non hanno il controllo dei loro dipendenti, dai dirigenti fino all’ultimo fattorino. Intanto, al di là di affermazioni prevedibili e scontate, il comandante generale dell’Arma, e suoi tre predecessori dal 2009 a oggi, non hanno mai risposto a un quesito importantissimo. Come è possibile che l’Arma dei Carabinieri, lungo tutta la catena di comando, in 9 anni di depistaggi e omertà sul fronte di un delitto tremendo, non abbia mai sentito la necessità di fare chiarezza al suo interno? Come è possibile che nessuno avesse raccolto almeno qualche voce su un fattaccio avvenuto a Roma, a poche migliaia di metri dalla sede del Comando generale, e sui suoi retroscena.? A giudicare dalle indagini, i protagonisti ne parlavano al telefono e via email quasi con noncuranza, convinti di averla fatta franca. Nessuno ha mai saputo niente? Il comandante generale, gli alti ufficiali del comando e giù fino alla caserme non si sono mai posti alcune domande banali?
Invece, sul fronte del caso Cucchi, dopo il delitto hanno preso il via proprio quelle coperture e quei depistaggi, tanto che, per scongiurare l’emergere della verità, è stato persino permesso che fossero processati alcuni innocenti, poi assolti. Insomma, i colpevoli sono stati protetti da qualcuno. Eppure il comandante Nistri ha ribadito che è stata una “patologia… circoscritta a quel fatto”. Poi la notiziona: “Proprio a partire da questo caso, il comando provinciale di Roma ha istituito un servizio ispettivo interno che ha già attivato nuovi e più efficaci modi di procedere”, ha detto a Bianconi del Corriere. Alleluia. Insomma c’è qualcosa che lascia intuire, nell’organizzazione dell’Arma, alcune lacune (per usare un eufemismo) non circoscritte a questo episodio.
Di certo, la stragrande maggioranza di chi ne fa parte (vale anche per le altre forze dell’ordine) non è colluso con gruppi di violenti né commette violenze (così come la stragrande maggioranza dei migranti non stupra e non spaccia). Però le parole del comandante generale dei Carabinieri non bastano per capire, rischiando indirettamente di emarginare chi collabora con la giustizia. Anche perché altri episodi inquietanti sono avvenuti, negli ultimi anni, descritti il 27 ottobre da un articolo pubblicato sul Il Fatto Quotidiano.
È di pochi giorni fa la prima condanna per lo stupro di due studentesse americane a Firenze nell’estate 2017, attribuito a due carabinieri già destituiti dall’Arma con accettabile tempismo. Sempre a Firenze, dalla strada è stata fotografata nel 2017 la camerata della Caserma Baldissera: lì un giovane carabiniere del VI Battaglione aveva affisso una bandiera neonazista. Tre stazioni dell’Arma in Lunigiana sono state stravolte da un’inchiesta della Procura di Massa per presunti abusi su stranieri. Nel febbraio scorso a Macerata (dopo l’assassinio di Pamela Mastropietro, ragazza tossicodipendente, da parte di spacciatori africani) il razzista Luca Traini, di recente condannato in primo grado a 12 anni per avere sparato ai migranti in un bar allo scopo di “vendicare” Pamela, era stato benevolmente fotografato in una caserma dei carabinieri col tricolore sulle spalle. Ci sono anche generali sotto inchiesta per la fuga di notizie che consentì di far sparire le microspie con cui la Procura di Napoli cercava le prove di corruzione attorno ad appalti pubblici miliardari. Lo scorso aprile c’è stata la condanna in primo grado a 12 anni per i generali Mario Mori e Antonio Subranni, nel processo sulla trattativa Stato-mafia del 1992-93. Sono solo alcuni dei casi più recenti.
L’Arma ha dunque il dovere di fare pulizia a tutti i livelli e non solo per quel che riguarda il caso Cucchi. Qualcuno forse ricorda l’inchiesta che travolse la Guardia di finanza ai tempi di Mani Pulite. Non è il caso di arrivare fino a quel punto. Però, in mancanza di provvedimenti, c’è anche il rischio di andare oltre. La Benemerita deve prevenire future deviazioni, senza cedere alla tentazione di crogiolarsi nelle parole “assolutorie” declamate da politici che, come Matteo Salvini, la usa soltanto per raccogliere voti a destra. Perché tantissimi carabinieri, al lavoro con lo spirito di sacrificio e di dedizione che li hai resi così amati dalla gente, sono anche le prime vittime di chi disonora la divisa e il popolo (quello citato dalla Costituzione italiana) che ha giurato di proteggere.
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