Non abbiate paura di Bandiera Rossa

Nei giorni scorsi si è svolta una seria guerriglia sonora su Facebook e gli altri social: una guerriglia piscologica di massa, a suon di musica, per la conquista del consenso. Non sto parlando delle aggrovigliate vicende dei thegiornalisti ma della disputa sonora che è avvenuta nella sinistra italiana.

Quelli che gridano allo scandalo

Tutta colpa di quei militanti del Pd che hanno avuto l’ardire, a Ravenna, in occasione della festa nazionale de l’Unità, di intonare Bandiera rossa e Bella ciao. L’hanno fatto, imprudenti, alla presenza del segretario nazionale Zingaretti, che – raccontano le cronache-, non s’è fatto né in qua né in la di fronte a questa esibizione. Lui no, ma altri sì. Apriti cielo.

S’è aperto un grande confronto dall’alto contenuto metaforico. Renzi è stato, al solito, il più svelto a rilasciare dichiarazioni: “Bandiera rossa non sarà mai il mio canto. Io lo rispetto ma trovo che in quel partito lì è meglio che tornino Bersani e D’Alema”. Non ha fatto la scissione per questo, ha tenuto a precisare, ma comunque se la cantassero a casa loro, alle loro feste, con vocalist di loro gradimento. Buon secondo, è arrivato Calenda il quale è andato giù più duro, forse scocciato, di non esser stato il primo: “Evviva il comunismo e la libertà? Mamma mia. A prescindere da tutto, il fatto che si celebri così la nascita del Conte bis è sintomo di vaga confusione”. Bella lotta. Anche nel Pd, preoccupati di non apparire troppo spostati a sinistra, si sono levate voci non per cantare ma per prendere le distanze da Bandiera Rossa. L’ha fatto il vicesegretario Orlando affermando che il Pd non è “il partito di Bandiera rossa, non siamo il partito della patrimoniale. Non ci faremo intrappolare in questa caricatura”.

Ma perché bisogna cancellare la storia?

Perché Bandiera rossa suscita così forti polemiche? Perché ancora tanti cittadini e militanti di sinistra se la ricordano e la cantano? E’ una colpa? Accadrebbe la stessa cosa se, in qualche raduno politico, si cantasse Biancofiore o se s’intonassero altri canti popolari che sono stati espressione dei grandi partiti democratici del secondo Novecento italiano? Non sono i canti che pesano. E’ la storia che essi evocano. I comunisti sono comunisti, punto e basta. Ancora una volta (il primo a giocare la carta di paragonare Enrico Berlinguer a Beppe Stalin fu Silvio Berlusconi) si tende a dimenticare la specificità del Partito comunista italiano e a rappresentare in maniera manipolata la storia di quello che è stato uno dei gangli della riconquista della libertà e dello sviluppo della democrazia italiana. Come, su una sponda opposta, lo è stata la Democrazia Cristiana.

Vi è stato un tempo in cui la passione politica si manifestava in grandi canti. Un’eredità che il movimento operaio aveva, fin dal tardo Ottocento, mutuato dalla tradizione dei riti religiosi. Ci sono delle pagine di quel piccolo gioiello che è Il lavoro culturale di Luciano Bianciardi che sono illuminanti sull’uso che il popolo faceva dei canti, sia nelle processioni sia nei raduni popolari. Potremmo prendere anche pagine di Giovannino Guareschi e vi troveremmo lo stesso pathos.

Ricordatevi i versi di Pasolini

Infine sarebbe bene che gli attuali politici e, in particolare, alcuni dirigenti della sinistra, si rileggessero le parole d’acciaio, eppure amorevoli e poetiche, che Pier Paolo Pasolini dedicava alla bandiera rossa nel 1961:

 

“Per chi conosce solo il tuo colore, bandiera rossa,

tu devi realmente esistere, perché lui esista:

chi era coperto di croste è coperto di piaghe,

il bracciante diventa mendicante,

il napoletano calabrese, il calabrese africano,

l’analfabeta una bufala o un cane.

Chi conosceva appena il tuo colore, bandiera rossa,

sta per non conoscerti più, neanche coi sensi:

tu che già vanti tante glorie borghesi e operaie,

ridiventa straccio, e il più povero ti sventoli”.

 

In discussione non sono dunque i canti ma ciò che essi hanno rappresentato. Basterebbe porre un occhio, tra un post e l’atro, a una qualsiasi enciclopedia, anche la più semplice, per capire di cosa si parla quando si cita di Bandiera Rossa. E’ uno tra i pochi canti che appartiene alla tradizione orale della classe operaia italiana. Non solo di quella comunista, per intenderci, giacché trae ispirazione non solo dalla tradizione socialista ma anche quella repubblicana: “Il suo utilizzo come canto politico trova ascendenza sia melodica sia testuale in un canto repubblicano della metà dell’Ottocento”, come hanno scritto i più importanti studiosi della tradizione musicale.

La sua natura d’inno orale ne ha permesso continue modificazioni che hanno tenuto conto del contesto politico nel quale era cantata: la nascita del partito repubblicano e di quello socialista prima, e di quello comunista, dopo. Insomma: stiamo parlando della storia del movimento operaio e delle forze che più degnamente l’hanno rappresentato. Perché vergognarsene (Calenda) o dissociarsene (Renzi) o prenderne le distanze (Orlando)?

 

Non diamo retta ai rottamatori

Luca Bottura ha scritto ieri, su La Repubblica: “Il poderoso cedimento culturale per cui sia Renzi Viva che il Pd si dissociano sdegnati da Bandiera rossa, parrebbe segnare la definitiva subalternità alla narrazione berlusconiana che equiparò Stalin e Berlinguer, nonché un gesto deprimente, improvvido, autolesionista, scellerato, perdente. In realtà, come spesso accade, rappresenta la possibilità di trasformare un disastro in un’opportunità”. Si può sorriderci sopra, si possono suggerire nuove playlist per la sinistra o aspettare che qualcun s’inventi un nuovo inno. Come fece Berlusconi con Forza Italia. Mentre i rottamatori di ogni specie sono tornati in azione, sarebbe bene che Zingaretti e soci non si adeguassero a questa tendenza modaiola di ricorrere il centro o di apparire perbenisti. La sinistra italiana ha un’anima e una storia. Innoviamo. Cambiamo molto, se occorre. Senza perdere l’anima e la storia, però. E cantiamoci sopra. Bandiera rossa, naturalmente.