Nomine, la prima volta di Meloni: il vincitore è Claudio Descalzi
Le nomine delle società partecipate e controllate dallo Stato sono da sempre il segno del potere di un governo espresso da una definita maggioranza politica. La prima campagna assembleare del governo Meloni, che porterà al rinnovo dei consigli di amministrazione delle grandi imprese pubbliche (Eni, Enel, Terna, Leonardo, Poste Italiane) con le prossime assemblee degli azionisti, non sarà una rivoluzione. C’è qualche cambiamento, qualche nome nuovo, qualche “fascistino” nei consigli, ma Meloni e i suoi alla fine sono apparsi prudenti per evitare di danneggiare l’immagine e il ruolo di imprese che sono decisive per lo sviluppo dell’economia e, viste le difficoltà dell’esecutivo, anche per l’attuazione del PNRR che con oltre 200 miliardi da investire può davvero dare una svolta al Paese. Ci sono manager di lungo corso, affidabili, vecchie volpi berlusconiane, qualche ripescato e per la prima volta dopo tanti anni una donna è stata promossa ad amministratore delegato (Giuseppina Di Foggia a Terna, negli anni Novanta Marisa Bellisario guidò la gloriosa Italtel litigando pure con Cesare Romiti) invece di limitarsi a ricoprire il ruolo di presidente di solito privo di poteri operativi.

La squadra dei manager pubblici scelti dal governo di destra, creata dopo qualche protesta e tensione tra leghisti e berlusconiani da una parte e le truppe di Fratelli d’Italia dall’altra, è questa. All’Enel, Flavio Cattaneo (già alla Fiera di Milano, Terna, Telecom, Italo, Rai), sposato con la compagna Sabrina Ferilli, è stato designato come amministratore delegato e Paolo Scaroni torna in pista come presidente dopo esser stato in passato alla guida della stessa Enel e dell’Eni. Claudio Descalzi resta amministratore delegato di Eni, mentre alla presidenza arriva Giuseppe Zafarana, un militare. L’ex ministro della Transizione Ecologica, uomo per tutte le stagioni, Roberto Cingolani è l’amministratore delegato di Leonardo (un ritorno nell’impresa dove era stato responsabile dell’innovazione tecnologica sino al 2021), Stefano Pontecorvo, già ambasciatore, assume il ruolo di presidente. Sarà interessante vedere all’opera Cingolani, accreditato in passato di simpatie progressiste, grilline, e con la fama dello scienziato, alla guida dell’ex Finmeccanica, con le sue produzioni di sistemi di Difesa (cioè armi), gli ordinativi record, le ipotesi di matrimonio con Fincantieri. Alle Poste, bacino del risparmio degli italiani, è confermato Matteo Del Fante mentre la nuova presidente è Silvia Rovere. A Terna arriva Giuseppina Di Foggia, una carriera nelle telecomunicazioni, come amministratore delegato con Igor De Biasio designato presidente.

I vincitori non vanno cercati tra i partiti e i leader politici, tutti sembrano contenti. Se si dovesse scegliere un vincitore di questa tornata di nomine non ci sono dubbi: il nome è quello di Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni dal 2014, confermato per un quarto mandato che per un’impresa di Stato è un’eternità. Descalzi è oggi il manager più potente d’Italia e attraverso l’Eni svolge un ruolo fondamentale negli assetti economici interni e nella politica estera del Paese. Secondo una definizione di Carlo De Benedetti, “Descalzi è il ministro degli Affari Esteri”, anzi forse qualcosa di più tenendo conto del rapporto strettissimo che ha instaurato con il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Il bilancio dell’Eni presenta utili record grazie al boom dei prezzi petroliferi dello scorso anno, Descalzi è riuscito a rafforzare il ruolo internazionale del gruppo, si è allontanato per ora dai russi di Gazprom in questa emergenza energetica e ci deve essere il suo zampino quando la premier parla di “Piano Mattei” verso i Paesi africani o dell’Italia “come nuovo hub del Mediterraneo per il gas”. Sono solo slogan, ma ripetuti e pubblicati più volte fanno un certo effetto. Descalzi appare fortissimo, solido nel suo comando e non è stato nemmeno scalfito da pesanti inchieste giudiziarie condotte malamente da magistrati pasticcioni.
Il caso più delicato

Forse il caso più delicato in prospettiva è quello dell’Enel. Il tandem Scaroni-Cattaneo suscita qualche perplessità e la Borsa ha colpito il titolo del gruppo elettrico perché gli investitori esteri hanno più di un dubbio. Il ritorno di Scaroni come presidente è stato voluto soprattutto da Berlusconi e Salvini, una restaurazione piuttosto che un’innovazione. Quand’era alla guida dell’Eni, Scaroni aveva sposato la strategia di alleanza con Gazprom, il gas russo era una sicurezza, apprezzata da tutti i nostri governi compresi quelli di centro-sinistra, e garantiva affari anche a cordate berlusconiane per la vendita del gas in Italia. Questa sensibilità verso Mosca non sarebbe più giustificata, qualora fosse ancora presente, dopo la guerra in Ucraina. In più la promozione di Cattaneo non sembra una scelta di alto profilo come si poteva prevedere per un’impresa strategica come Enel che, tra l’altro, ha 80 miliardi di debiti. Però bisogna attendere le strategie e i nuovi piani dei vertici della società. Certamente nella partita delle nomine Enel è rimasto deluso Stefano Donnarumma, amministratore delegato uscente di Terna, che Giorgia Meloni avrebbe voluto alla guida dell’Enel prima delle barricate leghiste e berlusconiane. Ma Donnarumma potrà consolarsi, forse, con i treni. Un bel posto alle Ferrovie che hanno decine di miliardi da investire e tutto si risolve.
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