Niente pop corn, prepariamoci al crollo gialloverde
Se e quando il governo cadrà, non sarà per l’incompatibilità, del tutto presunta, della cultura grillina con quella leghista. A far saltare l’esperimento populista, che mostra ogni giorno crepe evidenti, non sarà certo la distanza ideale tra gli alleati gialloverdi. “Il governo deve andare avanti e la priorità è il taglio delle tasse”, sostengono congiuntamente Di Maio e Salvini. A costringere la squadra di Conte alla resa sarà semmai la dura replica dell’economia.
I due vice presidenti del consiglio affermano, a dispetto delle evidenze empiriche, che i dati dell’economia sono positivi, che gli indicatori quantitativi e i riscontri delle politiche pubbliche adottate “ci dicono che siamo sulla buona strada”.
Il populismo che scappa dal tempo reale
Mentre la paralisi sistemica è evidente e l’urto con i nodi strutturali si avvicina, la narrazione governativa cerca delle pure divagazioni. Non può più annunciare che sarà un “anno bellissimo” e però l’esecutivo del cambiamento continua a sperimentare immagini fasulle per fuggire dal fastidioso mondo reale. E’ un tratto tipico del populismo quello di scappare dal tempo e dai vincoli reali per cavalcare in orizzonti fiabeschi.
Il fallimento della carta grillina del reddito di cittadinanza (il crollo del M5S è ancora più pesante proprio perché giunto dopo l’entrata in vigore della sua proposta mitica di vittoria definitiva sulla povertà) e della mistica leghista della quota cento non suggeriscono correttivi al governo che anzi rilancia la corsa verso il baratro con la flat tax, i mini bot.
I sovranisti ricorrono alle più classiche forme di indebolimento della sovranità nazionale e cioè al nuovo debito pubblico che altro non è che la subordinazione dello Stato alle ipoteche straniere e quindi alle grinfie del ricatto delle agenzie di rating e degli investitori internazionali. La guerra agli eurotecnocrati di Bruxelles si converte anch’essa nella richiesta disperata di un soccorso provvidenziale da parte del bazooka della Bce.
Le mosse del barcarolo padano
Dinanzi al collasso che si preannuncia minaccioso, il barcarolo padano avverte che la guerra navale contro i naufraghi non è in grado di garantire il consenso in eterno. Neanche lo stordimento culturale dei ceti popolari potrà durare all’infinito. Lo spettacolo degli operai napoletani, con lettera di licenziamento in mano, che con alla testa una sindacalista della Fiom esultano dinanzi al ministero al grido ritmato di “Gi-gi-no”, e invocano persino la sua mistica apparizione dal balcone, è la immagine di una triste metamorfosi di una classe in plebe. Senza un risveglio della coscienza operaia il populismo non può essere sconfitto.
Non bastano le resistenze in nome del principio di legalità. Quando dal Viminale si minacciano i giudici (“è doveroso segnalare quei pochissimi che utilizzano la toga per fare politica non applicando le leggi approvate dal Parlamento italiano”), il disagio per le sorti della repubblica sfiora le coscienze di una minoranza.
Anche dinanzi alle parole tecnicamente eversive del capitano («Se mio figlio ha fame e mi chiede di dargli da mangiare e Bruxelles mi dice ‘No Matteo, le regole europee ti impongono di non dare da mangiare a tuo figlio’, secondo voi io rispetto le regole di Bruxelles o gli do da mangiare? Secondo me viene prima mio figlio, i miei figli sono 60 milioni di italiani. Se una medicina dopo 15 anni si rivela sbagliata ho diritto a prendere un’altra medicina»), il moto di ribellione rimane confinato nel campo delle élite che si orientano anche nel pantano con la mappa di una cultura critica.
La strategia del pop corn e i graffi della crisi
Il regime gialloverde, sin quando è contestato dai residui centri di cultura politica ancora disponibili dopo l’età della disintermediazione e della folle chiusura dei partiti, riesce a sopravvivere. Solo quando la massa percepisce i graffi della crisi, riesce a scrollarsi di dosso l’immaginario populista.
Ma questo momento non evoca l’attesa con i pop corn, esige invece un grande lavoro di organizzazione politica per rimettere le radici nella società dopo la grande fuga verso il non-partito leggero delle cariche elettive per vocazione originaria lontano da ogni idea di conflitto di classe.
La vera ricostruzione di un partito è il primo imperativo per l’opposizione di sinistra. La politica organizzata serve proprio per disseminare nella società degli anticorpi capaci di disinnescare nei ceti popolari il fascino oscuro delle immagini crude e false messe in circolazione dai media e dai politici della destra.
L’assenza della politica organizzata declassa a pure esigenze etiche troppo lontane i valori tradizionali della sinistra mentre rende vivibili come idee forti e vivaci le fughe sulla minaccia delle invasioni islamiche e sulla libertà barbara di sparare al ladruncolo trovando la solidarietà delle istituzioni.
Riportare al centro la questione sociale
Per sradicare la falsificazione cognitiva, per cui le immagini guerriere della destra sono decodificate dal pubblico come prova di una straordinaria aderenza alle reali domande della società impaurita, occorre un coordinato lavoro sindacale e politico per ristabilire il senso perduto della questione sociale.
Solo il conflitto di classe ritrovato e la politica apertamente divisiva riescono a sradicare nei ceti popolari la credenza per cui il problema immediato e tangibile è la caccia al migrante e la libertà di pistola mentre la lotta alla diseguaglianza, alla precarietà, alla eutanasia degli spazi pubblici è solamente un obiettivo irenico e troppo lontano.
Se, sulla scia di talune suggestioni di Hume, non si riesce a capovolgere l’ordine delle percezioni collettive e a creare una diversa gerarchia tra il vicino e il lontano, tra idee-valori e interessi, le immaginazioni devianti della destra continueranno a catturare le simpatie di vasti ceti sociali apatici e smarriti.
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