Neanche l’incubo
Virginia Raggi
sveglia il Pd romano
“Nessun dorme” risponde il segretario romano del Pd Andrea Casu alla domanda, ovvia, “che fa il centro sinistra?”. Ma, insomma, se non dorme sonnecchia. Dopo la mossa di Virginia Raggi che ha deciso di forzare sul suo partito, il centro sinistra non sente il bisogno di cambiare passo. “Alleanza politica e civica, squadra e fotografia di gruppo”, secondo l’idea dell’ex sindaco Francesco Rutelli per il quale a Roma non basta un nome ma ci vogliono 100 persone capaci e idee.
Troppi rumors, niente candidature
Già, idee ma, se le idee camminano con le gambe di uomini e donne, il réfrain sulle candidature di centro sinistra è fermo a sei mesi fa: il capogruppo Pd capitolino Giulio Pelonsi ripropone Enrico Letta (che, ancora una volta, si tira indietro) e Davide Sassoli, che non sembra disponibile e sarebbe, comunque, un dejàvu. Niente novità sul fronte di candidature big al femminile, fatta eccezione per Monica Cirinnà che ha guadagnato stima e consensi nella battaglia per le unioni civili.
Rumors, però, soltanto rumors. Intanto sui social, in contemporanea con l’annuncio di Virginia, è partita la campagna elettorale. E gli evidenti fallimenti che i romani percepiscono ogni giorno uscendo di casa, diventano successi: raccolta dei rifiuti? Competenza regionale, trasporti da incubo? Colpa delle amministrazioni precedenti, “Virginia ha risanato Atac”, manutenzione del verde? “La sindaca ha ripristinato le gare, ha messo ordine nel bilancio capitolino”. Poco importa se, i pentastellati hanno portato i libri contabili di Atac in Tribunale e, con la procedura fallimentare, i romani hanno perso giurisdizione su proprietà della città: i depositi per gli autobus costruiti al tempo del sindaco Nathan, sono diventati moneta “edificatoria” sonante per ripagare il debito, quando potevano ospitare servizi e parchi giochi per i bambini. Poco importa se i romani devono camminare in micro-giungle schivando sterpi, buche e cassonetti ricolmi e maleodoranti.
Virginia è stata abile a sfruttare le contraddizioni in cui versa il suo movimento e, rompendo gli indugi, dà via libera al secondo mandato per tutti, togliendo le castagne dal fuoco a parlamentari e sindaci in attesa di riconferma. D’altra parte, la coloritura antifascista le offre la chance di collocarsi nell’area a sinistra dei 5 stelle, accordi con il centro sinistra ci sono già stati – indicativa è stata la vicenda del rinnovo delle nomine del CdA di Eur Spa – e nell’insieme Virginia Raggi è nella condizione di giocare la partita. Se non riuscirà ad entrare in ballottaggio, avrà modo di rivendicare un ruolo nazionale. Uno scenario in cui Roma, più che capitale, sembra un retrobottega degli equilibri nazionali.

Il centrosinistra incatenato
Andrea Casu attacca: “In un momento drammatico per Roma e il paese, Raggi pone il tema del suo destino politico personale. Ma per noi i suoi quattro anni sono stati un fallimento totale e non va confusa la collaborazione istituzionale di questi mesi drammatici con il giudizio che diamo della sua amministrazione”. Ma se le parole sono dure, nella sostanza nulla di nuovo appare sotto il sole quasi ferragostano, con la differenza che sei mesi fa c’era la speranza di creare coalizioni giallo-rosse alle regionali, ora sono tramontate, e c’era un’ipotesi di rimpasto al governo che costringeva a tenere in fresco tutte le candidature possibili. Ora lo scenario è cambiato ma il centro sinistra sembra incatenato allo stesso schema, compresa la carta coperta di una candidatura del segretario del partito Nicola Zingaretti a Roma, in un election day per la capitale e per il Lazio. Schema che riduce il fondamento statutario delle primarie ad una estrema ratio, se non si riesce a mettere in campo un o una “big” che sparigli.
Con buona pace delle sagge parole di Elly Schlein che, in una intervista di fine luglio, sollecitava più coraggio nel promuovere una visione ed energie nuove. Cose di cui ci sarebbe tanto più bisogno a Roma, dove l’elettorato non ha perdonato la fine infausta che il Pd fece fare a Ignazio Marino. Una ferita rimasta aperta.
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