Nelle città s’inceppa
la macchina sovranista
e populista
Buone notizie dalle città: la macchina sovranista si è inceppata, il Pd e il centrosinistra tornano competitivi e vincenti persino oltre le previsioni e l’alleato populista non è più così indispensabile, anzi è ridotto ai minimi termini. Nel cercare il tratto comune del primo turno delle elezioni amministrative in migliaia di comuni, fra i quali i primi 5 del Paese, è difficile sfuggire a questa suggestione.
La destra non è più inarrestabile
Milano, Bologna e Napoli sono conquistate dai candidati del centrosinistra Sala, Lepore e Manfredi già al primo turno, a Torino Lo Russo va al ballottaggio in testa e a Roma Gualtieri si gioca la gara al secondo turno con buone probabilità di successo.
Le cose cambiano, in politica a volte anche repentinamente: fino a qualche mese fa l’Italia sembrava la terra di conquista dei sovranisti e dei populisti, con una destra capace di dettare legge come in nessun’altra parte d’Europa e con la capitale alla mercè di una delle peggiori amministrazioni della sua storia. Naturalmente il pericolo è tutt’altro che sfumato, almeno nel primo caso, e la partita è più che mai aperta. Ma la marcia di Salvini e Meloni, per la prima volta, non appare più inarrestabile.
I due sconfitti, Meloni e Salvini
Proprio la destra è la grande sconfitta di questo turno amministrativo che ha coinvolto nei comuni 12 milioni di elettori (ma solo in teoria: il campanello d’allarme dell’astensionismo è tornato a suonare, dopo una parziale e illusoria inversione di tendenza), oltre alla Regione Calabria e il voto suppletivo per la Camera nel collegio di Siena-Arezzo e di Roma-Primavalle.
Certo ci sono stati gli scandali in extremis di Luca Morisi, spin-doctor di Salvini, e del supporto nerissimo (in tutti i sensi) al partito di Giorgia Meloni. Ma la partita era segnata già prima. E neppure le candidature “sbagliate” possono spiegare tutto. La speranza è che – per ultima – anche l’Italia stia entrando in una dimensione più europea, con i partiti xenofobi e sovranisti spinti ai margini della scena politica, per quanto con una consistenza allarmante.
Lo sconquasso politico all’interno della Lega non è del resto casuale se è vero che la componente governista e del cosidetto “partito del Nord” abbiano messo Salvini in minoranza e secondo qualche indiscrezione lo stiano spingendo addirittura a una clamorosa scissione. Nel caso dei Fratelli d’Italia sarà forse l’estabilishment economico e mediatico a frenare dopo il cauto avvicinamento alla leader Meloni – data fino a ieri come possibile premier una volta tornati alle urne – secondo la tendenza tutta italiana delle classi dirigenti pronte ad andare in soccorso dei vincitori.
Successo di Letta e del Pd
A sinistra il successo è indubbiamente del Pd, dei suoi sindaci e del suo segretario Enrico Letta, uscito vincitore anche personalmente dalla difficile battaglia di Siena. Ma si tratta di capire se sia stata premiata anche la linea delle alleanze. Il rapporto con i 5 Stelle resta infatti la grande incognita sulla via del rilancio della sinistra riformista. Neppure la guida di Giuseppe Conte, assai popolare evidentemente solo tra i militanti e gli attivisti, ha ridato respiro a un Movimento da tempo in inesorabile declino.
L’apporto pentastellato al centrosinistra – dove c’è stato – è stato ininfluente, nella grande maggioranza le percentuali sono a una cifra. Ha senso puntarci oltre ogni ragionevole dubbio? Che vantaggi si potranno trarre da nuove faticose mediazioni, come quelle sulla giustizia, o da un dialogo tra sordi come sullo ius soli?
Tanto più che all’indomani della partita dei ballottaggi, la tentazione della nuova leadership contiana potrebbe essere quella di mettere un altro po’ di distanza da un alleato da cui teme di essere prima o poi fagocitato. L’annunciato ingresso della disastrosa (ormai ex) sindaca di Roma nella squadra di Conte va in questa direzione, così come i tentativi di recuperare alla nuova leadership Alessandro Di Battista, il più “barricadiero” (da destra) dei penta stellati.
Calenda a un passo dal sorpasso dell’ex sindaca
Un’ultima annotazione riguarda l’eterna questione del centro. Il voto di Roma ha portato in primo piano un nuovo aspirante leader, quel Carlo Calenda, che – stando alle proiezioni di metà sera – sfiora il 20 per cento ed è a un passo dal sorpasso di Virginia Raggi. Un risultato significativo che lo pone probabilmente al di sopra degli eventuali competitors in quell’area come Matteo Renzi o come una parte significativa di Forza Italia.
L’apprezzamento da parte del nuovo uomo forte della Lega Giancarlo Giorgetti non appare insomma casuale. Anche per l’europarlamentare eletto dal Pd, però, si avvicina il tempo delle scelte: a cominciare da quella sul ballottaggio nella capitale. La trasparenza invocata giustamente proprio dal leader di Azione è un dovere di coerenza per tutti.
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