Nel Pd ormai ci sono due partiti: siamo sicuri che devono stare insieme?

La travagliata vicenda delle candidature alle primarie del Pd dimostra non solo che quel partito ha perso buona parte dei contatti con la realtà e che ha ormai, come scrive Emanuele Macaluso, i piedi di argilla, ma anche che ha due idee completamente diverse sulla nuova fase politica dominata dai nazional-populisti e sul che fare.

Un sondaggio di Nando Pagnoncelli pubblicato sul Corriere della Sera ci dà l’esatta dimensione di questa spaccatura: il 51% degli elettori democratici ritiene che il partito debba preoccuparsi soprattutto di parlare all’elettorato di sinistra, quello che in parte si è ritirato nell’astensione, e di conseguenza debba riportare in alto le bandiere del pensiero di sinistra, dalla lotta contro le disuguaglianze al nuovo welfare, dalla difesa dei più deboli alla centralità del lavoro; di contro il 47% pensa invece che quelle siano scelte retrò e che occorra invece proseguire nella costruzione di un partito moderno, lontano dalla tradizione della sinistra, in grado di parlare a tutto l’elettorato – quindi anche a quello di destra – che non si riconosce nel populismo delle forze di governo. Anche sul rapporto con i Cinque Stelle la divaricazione è significativa: il 37% gradirebbe che Pd e M5S fossero in grado di trovare temi comuni per cercare di allearsi, mentre il 28% la pensa esattamente al contrario e un 32% gradirebbe poco questa ipotesi di avvicinamento.

Se ci pensate bene queste due prospettive corrispondono a due aree all’interno del Pd. La prima è sommariamente affine a Nicola Zingaretti, la seconda a Matteo Renzi. Ho scritto sommariamente perché poi all’interno delle due aree esistono diversificazioni: sicuramente Zingaretti pensa che, rilanciando i temi cari alla sinistra, si debba anche cercare di attrarre altri elettorati soprattutto moderati e allo stesso modo il mondo di Renzi non è tutto convinto che il Pd serva ancora e pensa invece che forse per attirare gli elettori antipopulisti, a prescindere dalla loro collocazione sull’asse destra-sinistra, serva un nuovo contenitore. Anche sul tema dei rapporti con i grillini le posizioni da una parte e dall’altra sono più articolate di quanto possa dire un sì o un no di un sondaggio.

Questa spaccatura sul futuro del Pd si ripercuote anche sulle primarie. Il marasma del mondo renziano ha condizionato l’avvio del percorso congressuale e rischia di condizionare anche i prossimi mesi. E questo perché dopo aver perso, quel mondo non si è mai chiesto perché, non ha capito che cosa è successo e quindi non sa più che cosa fare. E’ rimasto legato al mito del 40% (il risultato delle elezioni europee del 2014) ed è stato contagiato da una lacerante “ossessione per Renzi”.

A me è capitato spesso, insieme ad altri, di ricevere l’accusa di essere “ossessionato da Renzi” solo perché cercavo, negli articoli scritti su strisciarossa o nei post pubblicati su Facebook, di analizzare gli errori commessi dall’ex segretario del Pd. Quell’accusa di essere ossessionati da Renzi è diventata l’arma preferita dai renziani contro ogni piccola critica al loro leader.

Qui però parliamo di un’altra ossessione. Appunto: l’ossessione per Renzi. C’è un’area dentro il Pd che da qualche anno misura qualunque passo solo in funzione del leader. Non c’è stato, da parte di nessuno, alcun tentativo di autonomia politica, alcuna ricerca di idee originali pur dentro quel percorso. Pochi hanno portato del loro, quasi tutti si sono accodati in modo fondamentalista al pensiero dominante dettato dal capo. E se quell’ossessione poteva avere qualche senso quando il leader era il dominus della politica italiana, non lo ha più oggi quando appare come un uomo sconfitto con le idee confuse.

 In queste settimane ci è stato ripetuto in tutti i modi che non si può parlare sempre di Renzi, perché lui è fuori dal congresso, è un senatore semplice e pensa all’Italia e agli italiani piuttosto che al destino del Pd e al chiacchiericcio congressuale.

Bene. Poi però abbiamo saputo che un candidato alla segreteria come Marco Minniti si è prima iscritto alla gara con la mezza benedizione dei renziani e poi si è ritirato perché quella benedizione era meno di mezza. Poi un altro candidato come Maurizio Martina si è presentato prendendo le distanze da Renzi (con il quale peraltro ha collaborato da vicesegretario) e oggi si appresta ad accogliere a braccia aperte una pattuglia di renziani disposta a sostenerlo. Ancora: alcuni renziani hanno fatto pressione sul loro capo affinché si candidasse di nuovo alle primarie ma non sono riusciti a convincerlo; e quindi sono comparsi altri due candidati iper-renziani come Giachetti e Ascani che partecipano per difendere la stagione riformista di Renzi. Infine abbiamo saputo che un’altra area di quel mondo, che fa capo a Sandro Gozi, è convinta che il Pd vada archiviato e occorra fondare un nuovo movimento (non un partito, per carità) che ha come riferimenti Macron in Francia e Ciudadanos in Spagna, guidato ovviamente da Renzi, il quale sembra non disdegnare questa prospettiva. Voi come la chiamereste questa, se non ossessione per Renzi? E’ un fenomeno nuovo, accaduto raramente nella storia politica italiana. L’unica altra ossessione di questo tipo che mi viene in mente è quella che ha circondato e circonda tuttora (anche se in modo più sfumato) Silvio Berlusconi.

Il punto che mi preme sottolineare è che, se le cose andranno avanti così, questa confusione democratica non credo sia destinata a risolversi con le primarie di marzo. E questo proprio perché in quel partito convivono due partiti che non hanno più alcuna voglia di convivere e che si sopportano a malapena. Due partiti divisi su tutto. Divisi sulla prospettiva (un partito di sinistra o un partito di centro?), divisi sui contenuti (combattere il liberismo selvaggio o condizionarlo?), divisi sulla tattica (rompere il fronte governativo cercando un dialogo con l’ala meno becera dei Cinque stelle o mantenersi equidistanti e coltivare uno splendido isolamento?), divisi sul modo di intendere il partito (un partito-comunità o un partito personale?). Come si può tenere insieme due mondi così diversi?

Per questo credo sia del tutto inutile continuare a far finta di niente. Non serve più ripetere, come è stato fatto ad ogni passaggio critico, che serve unità-unità a prescindere dai contenuti e dalle scelte politiche. Non si può dire ancora che divisi si perde perché le ultime elezioni hanno dimostrato che uniti per forza si perde lo stesso e di brutto. La reticenza su questo tema di fondo su cui dovrebbe discutere il congresso – chi siamo e che cosa vogliamo fare – non è un buon segnale e non aiuterà a rilanciare il partito.

Quando un matrimonio entra in crisi, far finta che tutto vada bene o decidere di essere separati in casa provoca più guai di un uragano: esaspera gli animi, crea rancori e rende la famiglia un campo di battaglia. Proprio per questo resto convinto che se Renzi e i suoi decidessero di inventarsi una nuova forza politica non sarebbe un male, ma introdurrebbero un elemento di chiarezza. Per loro, che così sarebbero liberi di inseguire la modernità che cercano e che hanno cercato di portare al governo senza dover usare il lanciafiamme per far fuori chi la pensa diversamente. E per chi resta, che avrebbe spazio di manovra per ricostruire, con il contributo di altre forze – non solo quelli che hanno lasciato il partito più di un anno fa, che sono pur sempre più di un milione di elettori, ma anche pezzi di società civile che non hanno più una casa politica – una sinistra più larga che sappia fare la sinistra senza inseguire la destra. E che sia in grado soprattutto di essere un’alternativa di governo credibile al populismo rozzo e violento che imperversa nel nostro paese.