Quando nel giorno
della Memoria
si dimentica la storia

Nel giro di pochi giorni due importanti centri di ricerche demoscopiche hanno pubblicato i rispettivi rapporti sul tema della Shoah, in occasione del ventesimo Giorno della Memoria.
Ha fatto molto clamore, su diversi organi d’informazione, il rapporto Eurispes, secondo il quale il 15,6% degli italiani pensa che la Shoah non sia mai esistita, e che si tratti sostanzialmente di un’invenzione. Nel 2004, ha fatto notare l’istituto, questa percentuale si fermava al 2,7 per cento, un dato quattro volte inferiore. I più scettici sulla veridicità della memoria dello sterminio degli ebrei, secondo l’Eurispes, si collocherebbero a sorpresa nell’area di centrosinistra, dove si troverebbero il triplo dei negazionisti rispetto alla destra.

Contemporaneamente Alessandra Ghisleri, direttrice di Euromedia, ha presentato i risultati di un’altra indagine, che avrebbe rivelato che la percentuale degli italiani che credono che la Shoah non sia mai esistita si collocherebbe all’1,3 per cento, e che l’arco dei partiti di riferimento di chi ritiene al contrario che lo sterminio degli ebrei sia avvenuto e che sia da ricordare si collochi tra la sinistra e Forza Italia, mentre a destra si collocherebbe la maggior parte degli scettici e dei negazionisti.

Il Giorno della Memoria

Tutti i sondaggi sono invece d’accordo nel segnalare una crescente preoccupazione degli italiani per episodi di violenza e di discriminazione, che del resto riempiono quotidianamente le cronache di tutti i mezzi di informazione.

Auschwitz

Nel ventesimo anniversario dell’istituzione del Giorno della Memoria c’è insomma di che riflettere: cosa resta del bombardamento mediatico a cui tutti siamo sottoposti in queste settimane? Che messaggio passa in questi giorni? E questo messaggio serve o no a fare comprendere davvero quanto successe nei Lager di Hitler, e a spiegarne il motivo?

Un dato è certo: cresce il numero degli italiani scettici sull’intera narrazione di questi giorni, e contemporaneamente non hanno mai avuto tanto successo i raccontatori di storie fantasiose, se non inventate di sana pianta, meglio se condite di particolari raccapriccianti.

Testimoni veri e falsi

E’ di questi giorni la denuncia del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea (CDEC) a proposito del racconto di un sedicente superstite di Auschwitz che da anni gira nelle scuole, riscuotendo ovunque grande successo con un racconto di pura fantasia. E anche in questi giorni viene ancora invitato a tenere conferenze pubbliche un superstite di Dachau – lui almeno a Dachau c’è stato davvero – che ha scritto un libro (pubblicato nientemeno che da Rizzoli) in cui si è auto-etichettato come l’ultimo membro italiano di un Sonderkommando, ovvero di quelle squadre di addetti alle camere a gas. Il libro è ricco di particolari “forti”, di regola senza riscontro alcuno se non francamente inverosimili.

Da diversi anni l’ANED, l’Associazione degli ex deportati, ha denunciato questa ricostruzione a dir poco fantasiosa della vita e della morte a Dachau (qui) ma questo non ha arrestato né la tournée del Nostro, né la commozione del suo pubblico.

Eppure dovrebbe essere chiaro a tutti che queste falsificazioni delle vicende dei Lager portano solo acqua al negazionismo. Se questi due raccontano storie inverosimili, perché credere agli altri testimoni? Chi lo dice che la testimonianza di Liliana Segre non sia altrettanto infondata?

Se il dolore dà spettacolo

D’altra parte se il Giorno della Memoria si riduce a una pura e semplice spettacolarizzazione del dolore non deve sorprendere che trovi spazio sui media chi non risparmia i particolari più efferati. L’effetto finale è sovente quello dell’assuefazione e dell’omogeneizzazione delle memorie: di morti ammazzati in modo raccapricciante ce ne sono stati sempre, e non solo nei Lager nazisti.

La legge istitutiva del Giorno della Memoria obbliga scuole e Comuni a organizzare riunioni per ricordare, ma non ha stanziato neanche un centesimo per queste iniziative. Così la maggioranza degli istituti risolve la questione mostrando un film, o delle canzoni, o se va bene i disegni dei bambini di Terezin. Fino a pochi anni fa si telefonava all’ultimo momento all’ANED, chiedendo un testimone quale che fosse, purché andasse nella scuola a raccontare, come un jukebox, la propria vicenda di deportato (ricordo una preside che pretendeva che il testimone facesse cinque volte in una mattina la sua performance: un’ora con le prime, un’altra con le seconde, e via così fino all’ultima ora con quelli di quinta).

Liliana Segre al parlamento europeo

Oggi hanno capito che di testimoni in grado di girare per le classi non ce ne sono quasi più, e quindi si arrangiano.

Se guardiamo i programmi che i Comuni – anche i capoluoghi di Regione, per intenderci – organizzano per il 27 gennaio c’è di che trasecolare: le occasioni per una riflessione sull’intero sistema concentrazionario di Hitler, o addirittura sugli obiettivi del Nuovo Ordine Europeo, e cioè sulla strategia di lungo periodo del nazismo, sono del tutto assenti. Si approfondiscono dettagli, casi particolari – quest’anno andava abbastanza di moda il caso degli sportivi deportati; l’anno scorso si parlava decisamente di più degli omosessuali – ma non si azzarda mai un racconto d’insieme.

La Shoah e le tirannidi fasciste

Il risultato è che tutti veniamo bombardati di film, musiche, rassegne teatrali. E nel contempo crescono la confusione e la disinformazione.

Molti intendono l’unicità della Shoah non come un complesso di motivazioni che fanno effettivamente dello sterminio degli ebrei d’Europa un unicum nella storia del mondo, per le dimensioni della tragedia e per le sue modalità; ma più semplicemente come l’unica tragedia della seconda guerra mondiale che valga la pena di ricordare. E infatti in tante narrazioni si parte dal 1938, con le leggi razziste antiebraiche di Mussolini. Ma nel 1938 (è un esempio che faccio spesso a questo proposito) mio padre aveva già finito di scontare una condanna a 10 anni di prigione inflittagli dal Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato per motivi politici: sicuri che si possa raccontare il razzismo del regime saltando a pie’ pari la repressione di ogni dissenso, la costruzione della dittatura, la negazione delle libertà democratiche?

Eppure ce lo ha insegnato lo stesso Primo Levi, un altro che tutti in questi giorni citano, evidentemente senza averlo letto: “La storia della Deportazione e dei campi di sterminio, la storia di questo luogo [Auschwitz, ndr], non può essere separata dalla storia delle tirannidi fasciste in Europa: dai primi incendi delle Camere di Lavoro nell’Italia del 1921, ai roghi di libri sulle piazze della Germania del 1933, alla fiamma nefanda dei crematori di Birkenau, corre un nesso non interrotto”.

I “politici” nei Lager

Se non si affronta il tema del percorso che ha condotto alla tragedia dei Lager si rischia di non comprendere nulla. Non si potrà spiegare, per esempio, come mai circa tre deportati italiani su quattro siano stati arrestati e avviati ai Lager non per motivi “razziali” ma “politici”. Di questi, in effetti, non si parla più da diversi anni. Chi ricorda Vincenzo Pappalettera e il suo Tu passerai per il camino? E Pero Caleffi (Si fa presto a dire fame)? E Giovanni Meloria (La quarantena)? Sono autori di libri venduti a centinaia di migliaia di copie alcuni decenni fa. Chi conserva memoria della loro testimonianza?

L’eclisse della deportazione politica è funzionale alla narrazione delle destre, che concedono che Mussolini fece effettivamente un unico, imperdonabile errore, quello di aver varato le leggi razziali. E che evitano di citare la messa al bando dei partiti e delle associazioni democratiche e la persecuzione degli oppositori. Così si può piangere per i bambini, le madri, i vecchi vittime della Shoah, ma non per il martirio di tanti antifascisti e partigiani, annientati negli stessi campi.

Quando il Comune di Schio rifiuta di porre 14 “pietre d’inciampo” alla memoria di altrettanti cittadini morti nei Lager, ecco che scatta l’automatismo, e il fior fiore dei commentatori sui principali giornali si lancia nella filippica sull’antisemitismo. Ma a Schio le pietre dovevano ricordare un ebreo e 13 operai degli stabilimenti tessili della zona, e l’antisemitismo non era la chiave per spiegare quello specifico caso.

La confusione alimenta il negazionismo

E ancora, nel Giorno della memoria, un grande giornale dedica una pagina agli “ultimi 13 custodi della Memoria”, di cui si pubblicano anche le foto. Erano tutti ebrei deportati a Birkenau. Ma ci sono certamente altri ebrei ex deportati ancora viventi, che il giornale dimentica, e anche diverse donne che furono a Birkenau, conservano il numero tatuato sul braccio anche senza essere ebree, per non parlare dei superstiti degli altri Lager, la cui tragedia evidentemente non è meritevole di menzione.

Questa confusione e questo pressapochismo portano acqua al negazionismo. La campagna sistematica di gruppi razzisti e fascisti in rete fa il resto.

Primo Levi si preoccupava di cosa sarà della memoria il giorno in cui anche l’ultimo testimone sarà scomparso. Ma quella memoria è sistematicamente attaccata e negata già adesso, quando ancora alcune decine di superstiti sono in vita e possono testimoniare della più grande tragedia che mai l’umanità abbia conosciuto. E come talvolta accade, a dar manforte al negazionismo ci si mettono, inconsapevolmente, alcuni che pure pensano di combattere sulla trincea opposta.