Né rigore né onestà. Espulso De Vito
e salvato Salvini,
sotto M5s c’è solo un patto di potere

Vengono in mente, come slide, immagini diverse. Il piglio autoritario di Marcello De Vito nella gestione dell’Aula Giulio Cesare, per esempio quando non fu concessa la parola alle rappresentanti femministe nella discussione sulla Casa delle donne. I Cinque Stelle pensano che gli altri movimenti siano quinte colonne al servizio di interessi politici a loro contrapposti. E questo pregiudizio porta con sé la scomparsa della trasparenza e del dibattito pubblico, nel contrasto fra governo e opposizione, sulle scelte anche urbanistiche a Roma.

Secondo l’accusa, insieme allo stadio di Tor di Valle, le situazioni in cui De Vito con l’aiuto dell’avvocato Camillo Mezzacapo avrebbe ottenuto il pagamento di tangenti da dividere, sono relative all’iter amministrativo sulle trasformazioni dell’area degli ex Mercati Generali e dell’ex stazione ferroviaria di Trastevere.

L’immagine della ex stazione di Trastevere è la seconda slide. Sono circa 15 anni che, come si dice, le ferrovie hanno “valorizzato” il bene vendendo a privati del Real estate. Prima furono murate le finestre per evitare tentativi di occupazione, in seguito è sparita la locomotiva storica e i binari. Poi non si è saputo più nulla. È lo stesso periodo di tempo trascorso da quando fu avviato il progetto per gli ex Mercati Generali. Un cantiere interminabile. Vi dovrebbero sorgere studentato e attività commerciali, piazze e luoghi di svago. Con l’amministrazione Marino sembrava di essere a buon punto, la nuova giunta, ha ricominciato da capo, riducendo le cubature. Sembra un incantesimo cattivo che condanna Roma. Al posto del cambiamento, del rinnovamento, di progetti per il futuro, il paesaggio è segnato da vecchi bandoni di lamiera messi a delimitare luoghi in degrado. Intorno agli ex Mercati, intorno agli scheletri delle torri di Ligini, all’Eur intorno all’ex Fiera di Roma, e alla ex stazione di Trastevere ormai sommersa da una selva di erbacce. Bisognerebbe avere il coraggio di dire che la continuità amministrativa e istituzionale, anche quando la nuova maggioranza politica non condivide ciò che hanno fatto le amministrazioni precedenti, sono un valore maggiore degli slogan da campagna elettorale. Anche perché, intanto, rimangono sulla carta le idee sbandierate dai cinque stelle quando erano all’opposizione: come l’idea che a Roma non ci fosse bisogno di costruire perché ci sono tanti palazzi di edilizia privata con appartamenti sfitti. Il Campidoglio ha sfrattato cittadini poveri e associazioni dalle sue proprietà ma gli appartamenti restano sfitti e l’emergenza abitativa rimane intatta.

Nel tempo in cui si sono succeduti quattro sindaci il dibattito su Roma, sul suo futuro, sui progetti per il suo sviluppo sono scomparsi. L’attuale assessore all’urbanistica tace, non si sa cosa faccia, di cosa si occupi. Ma, nel degrado, in quella che fino a non molti anni fa era considerata una delle capitali più sicure del mondo, ci siamo abituati alla violenza e ai soprusi della criminalità organizzata e alla violenza gratuita come quella che ha ucciso un artista in largo Preneste.

Terza slide: il voto sulla Diciotti al Senato, che azzera le differenze fra alleati di governo e schiaccia tutti in difesa di Salvini.

La quarta slide è uno screen shot dalla pagina Facebook della sindaca di Roma: “io vado avanti”. Ma, se è lecito sapere, avanti verso dove? Verso cosa?

Il voto sulla Diciotti rende esplicito un patto di potere, non di governo, nel quale l’unico segno riconoscibile è quello della destra leghista. Il “vado avanti” di Virginia Raggi cosa significa?

Ecco, dunque, che mettendo in fila gli elementi raccolti, forse abbiamo la traccia di quel “vado avanti” di Virginia Raggi: la diffidenza verso il dibattito democratico che stende un velo opaco sulle scelte che si compiono, i progetti della città ostaggio di visioni contrapposte e non condivise, di una politica che procede per slogan e pensa di salvarsi l’anima bloccando tutto. Un voto per salvare Salvini e con lui il contratto di governo, che mantiene intatto l’allineamento dei pianeti di cui abbiamo appreso nelle intercettazioni.

La presunzione di innocenza vale per tutti, anche per gli arrestati di ieri, ma non è di questa opinione Luigi Di Maio. Lui ha saltato regole e procedure per “espellere in 30 secondi” Marcello De Vito. L’espulsione a tempo di record risponde, più che al grido “onestà” “onestà”, all’imbarazzo politico del vicepremier. Si può espellere una mela marcia da un progetto chiaro e sano ma, se il progetto non c’è e la realtà è quella che viviamo tutti i giorni, ovvero lo stato di sporcizia e prostrazione in cui è ridotta Roma, allora Virginia Raggi farebbe bene a seguire il consiglio del sindaco di Parma Pizzarotti: meglio fermarsi. Anche perché la condanna di Roma rischia di trasformarsi in una condanna per tutto il paese. Un paese che non riesce a contrastare il declino e risalire la china.