Napoli campione dopo 33 anni. Ed è finalmente festa

Scudetto. Eccolo, è fatta. Il traguardo atteso e desiderato è stato raggiunto anche se con un po’ di ansia in più del previsto. Con cinque giornate di anticipo sulla fine del campionato il Napoli ha vinto il  suo terzo scudetto. Dopo trentatrè anni nella trentatreesima giornata di campionato. Deludendo chi negli ultimi giorni si è perso in conteggi astrusi pur di cercare di dimostrare un possibile ritardo della vittoria finale nonostante i numeri. Ipotesi impossibile, in contraddizione proprio con i numeri, ma che a molti sarebbe piaciuto.

Gufare è uno degli sport nazionali più in voga. E poi questo scudetto…troppe variabili. Chi ha citato il punteggio ballerino della Juventus come condizionamento favorevole. Chi è andato a disturbare  il mondiale in Quatar e la relativa anomala sospensione del campionato per giustificare la performance straordinaria della squadra campione d’Italia. Chi ha goduto per il risultato di Salerno che non ha consentito una festa molto più anticipata per lo scudetto e chi per la Lazio che ha vinto col Sassuolo. Chi ha tifato Udinese. Invece c’è ora più di un mese di festa fino al gran finale. E poi via così. Fino a quando? I tempi napoletani sono imprevedibili, specialmente quelli della gioia. Una vittoria record merita molta energia.

Una festa lunga un mese

Una festa che sarà immensa, condivisa, voluta, fantasiosa, straordinaria dopo un’attesa durata troppi anni. Una festa che arriva dopo una lunga vigilia che, ce lo insegnano il Natale, Pasqua, il sabato del dì di festa, è il momento più bello prima di vivere davvero il giorno della celebrazione, della rinascita, del giusto riposo. Un’attesa con il fiato sospeso, come il caffè che hanno inventato i napoletani per chi non può permetterselo. Sentita e tesa anche se i numeri erano quelli e non rischiavano di essere smentiti.

Un’attesa da centellinare, per arrivare ad uno scudetto che “ci stiamo trezziando piano piano” ha ironizzato Luciano Spalletti, l’allenatore fiorentino di Certaldo, la patria di Boccaccio, concedendosi alla lingua della città campione, per rispondere a chi ha parlato di giorni di delusione, di preoccupazione per un successo non raggiunto con ancora maggiore anticipo. Giorni che il regista Paolo Sorrentino, il napoletano con l’Oscar, sta già documentando e lo farà fino all’ultimo minuto, fino alla chiusura di questo campionato della grande bellezza.

C’è chi parla di miracolo mentre la vittoria del Napoli non lo è. Non è un evento accaduto per caso o per fortuna ma piuttosto è il giusto riconoscimento alla squadra che ha giocato il miglior calcio del campionato, come tutti quelli che non sono prevenuti hanno riconosciuto, ed è arrivata al risultato grazie alla classe dei suoi giocatori e ad una società con i conti in ordine che di questi tempi non è davvero poco.

Nel nome di Maradona

Uno scudetto prezioso, vinto giocando nello stadio intitolato a Diego Armando Maradona cui San Paolo ha dovuto cedere il passo, ma con uno che ha la mano di Dio non c’è partita anche per un santo. Maradona i due precedenti scudetti li firmò nel 1987 e nel 1990. E nel 1988, non ci fosse stato il Milan di Berlusconi, a un altro scudetto c’era stato molto vicino.

L’emozione di quei giorni di vittoria è nella mente e nel cuore di chi c’era e di quelli a cui è stato raccontato negli anni con amore e nostalgia, rabbia quando un risultato simile sembrava lontano e tanta speranza. I sessantamila sugli spalti invaghiti della loro squadra che cantavano in coro “oi vita, oi vita mia…” sono un ricordo indimenticabile ancora presente nelle orecchie e nel cuore.  O’ surdato ‘nnammurato fa ancora da colonna sonora ma il tifo è anche musica nuova.

E così i volti noti della città, da Maurizio de Giovanni a Patrizio Oliva,  da Gino Sorbillo a Germano Bellavia hanno inciso il brano “Ma che Napoli” e girato un video per l’occasione. E’ la nuova colonna sonora, scritta da Gigi Rivieccio e Depsa, di questi giorni magici. Sono i volti e le immagini di una Napoli bella, per una volta senza le ombre con cui la si vuole oscurare.

Certo che era una Napoli diversa quella degli scudetti di Maradona rispetto a quella che festeggia da giorni il terzo riconoscimento. Quella era una città con ancora evidenti le ferite del terremoto che aveva distrutto, in una manciata di secondi con repliche che sembravano non finire mai, il tessuto sociale, i palazzi del centro storico, la periferia del capoluogo, e i paesi presepe dell’Irpinia. Migliaia di morti, una ripresa difficile, che in quegli anni sembrava quasi impossibile. Un territorio e una gente messa a dura prova. Una situazione che sembrava irrisolvibile anche per la forza, il cuore, l’impegno dei napoletani.

Uno scudetto che invita all’ottimismo

Oggi Napoli è una città in piena ripresa. Le imprese sono tornate ad investire e il flusso turistico si avvia a superare i risultati del 2019, quello precedente alla pandemia, consentendo di prevedere per quest’anno una variazione del Pil superiore alla media nazionale. I problemi sono ancora molti. La criminalità organizzata nell’ombra continua i suoi traffici ma si avverte una contrapposizione democratica più forte che in altri periodi. E anche lo scudetto numero tre autorizza ottimismo e prospettive positive.

La capitale che fu del regno, il luogo sede di bellezze inarrivabili naturali e artistiche, recuperate e fruibili, ha deciso di cominciare a festeggiare da molto prima di acquisire il risultato certificato in campo. I numeri schiaccianti lo hanno consentito e così nei vicoli e sul lungomare se la sono dimenticata la tradizionale e storica scaramanzia i napoletani anche se corni e gobbetti non saranno mancati nelle tasche e  nelle case. Non si sa mai.

E via allora con l’addobbo di ogni angolo della città dove non si trova più un barattolo di vernice azzurra. Milioni di sciarpe e di magliette. Striscioni che attraversano i vicoli. Battute, sfottò, manifesti. Le sagome dei giocatori con cui farsi i selfie, Osimhen e Kim con Zielinski e Lozano, Raspadori e Meret. Murales di Maradona ovunque. Quello nei quartieri spagnoli, in una piazza che ormai si chiama come il Pibe de oro alla faccia della toponomastica, è diventato il luogo più visitato della città battendo persino il Cristo Velato della Cappella Sansevero.

Fino a giugno non si trova una stanza libera e in pizzeria e nei ristoranti bisogna fare una lunga fila. Altro che economia del vicolo e pizza fritta consumata in piedi. L’industria del tifo sta dando i suoi frutti. Evviva lo scudetto. Il terzo in perfetta sintonia con Carlo terzo d’Inghilterra che, anche lui, in questa stessa settimana raggiunge il suo obbiettivo. Tra terzi…