Napoli al voto
più importante
tra veti e tatticismi

Nonostante sia finita da pochissimo la tornata di elezioni amministrative e regionali, l’orizzonte del dibattito politico sta già delineandosi in quello che sarà il prossimo voto amministrativo, nella primavera del prossimo anno (pandemia permettendo). Com’è noto, andranno a elezioni cinque delle sei città italiane più popolose: Roma, Milano, Napoli, Torino e Bologna; e se l’attenzione è già forte sulle vicende della capitale, con una pletora di candidature annunciate, sarebbe un errore sottovalutare la situazione napoletana.

Napoli, infatti, non solo si è rivelata più volte un laboratorio capace di anticipare alcune tendenze sviluppatesi poi nello scenario politico nazionale, ma è anche caratterizzata da una combinazione unica tra le città qui menzionate, ossia una consiliatura di sinistra-centro, guidata da Luigi de Magistris, esterna però agli equilibri nazionali.

In realtà, la maggioranza comunale non esiste più, reggendosi l’amministrazione sulla non-sfiducia da parte delle opposizioni che, anche quando ci hanno provato (come quest’estate), non si sono rivelate in grado di mandare la città a elezioni; di questo tentativo resta soltanto la sgradevole istantanea dei consiglieri comunali del PD pronti a fare autenticare le proprie dimissioni, assieme a leghisti e fascisti, dal notaio di Fratelli d’Italia

È innegabile, comunque, che la rivoluzione arancione abbia largamente esaurito la propria spinta propulsiva, sia per le oggettive difficoltà di amministrare un comune come quello partenopeo, sia per il suo reggersi, in questo secondo mandato, su una coalizione raccogliticcia, composta da personale politico con provenienze troppo variegate – per usare un eufemismo – e rapidamente squagliatasi quando il sindaco stesso ha mostrato un’attenzione al piano nazionale mai concretizzatasi però in una candidatura fuori di Napoli o nell’esplicito sostegno a qualsivoglia altra proposta politica.

Il contraltare al solipsismo e all’autoreferenzialità di de Magistris è rappresentato però dalle pulsioni revansciste che ancora albergano trasversalmente nel centrosinistra, in cui diverse voci, più che a un dibattito sulla città, sembrano interessate principalmente a una condanna senza appello di chi ha fatto parte delle ultime amministrazioni. C’è anche chi si sta impegnando per unire mondi che da troppi anni sono in contrasto tra di loro, ma non è un compito semplice.

Le urgenze reali

In questa situazione, le reali urgenze di Napoli restano fuori dalla discussione; mentre sulla stampa hanno grande risalto i retroscena sui possibili equilibri politici da trovare a Roma e, di converso, i disservizi e la mancanza di manutenzione pubblica, pochissimi si interrogano su quali strumenti ci siano per intervenire sulla città. È questo uno dei sintomi della grave mancanza di una classe dirigente in una metropoli che pure era stata lungamente terreno fertile per interessanti esperienze politiche e intellettuali: fatte salve pochissime figure, né il centrosinistra, né De Magistris, né il mondo culturale, né quello imprenditoriale o dei professionisti sembrano essere stati capaci di far emergere personalità all’altezza di proporsi in maniera credibile per invertire la rotta del declino partenopeo.

Questo è il livello a cui andrebbe portata la discussione, non limitarsi al semplice giudizio su una stagione amministrativa: Nino Daniele, che ha vissuto da vicino diverse consiliature, ha detto senza mezzi termini che per Napoli si tratta delle elezioni più importanti della storia repubblicana. Ha ragione.

Napoli è una città che ha progressivamente perso le sue vocazioni: ha perso il rapporto con il mare, non è più città industriale, non è mai diventata pienamente città di servizi. Da trent’anni è bloccata nella deindustrializzazione, con un centro investito da giganteschi flussi turistici (e bisognerà vedere cosa succederà con il prosieguo della pandemia) e una periferia in cui il disagio sociale è crescente, mentre gli antichi quartieri industriali-operai si sono trasformati in un deserto.

Sarà dunque una tornata amministrativa, per Napoli, che rischia di svolgersi in un clima di fine impero, con il centrosinistra che fatica a trovare compattezza e nessuna visione di come e in che direzione puntare per ricostruire un’ipotesi di sviluppo economico e sociale. Il compito delle forze di sinistra dovrebbe essere proprio quello di indicare alla città quale possa essere questa direzione; per esserne all’altezza, però, è urgente smettere di interrogarsi sui nomi e uscire dalla prigione dei veti incrociati e del tatticismo. Il tempo per farlo sta finendo.

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