Nanni Balestrini, il poeta delle utopie generose e delle passioni creative
E’ morto a Roma Nanni Balestrini. Avrebbe compiuto tra pochi mesi ottantaquattro anni, essendo nato a Milano nel luglio del 1935. Poeta prima di tutto e poi scrittore, saggista, artista, organizzatore di cultura, ideatore e promotore di riviste che fecero epoca, come “Quindici” e “Alfabeta”. Autore di un romanzo che, comunque lo si giudichi, comunque lo si rigiri, fece anch’esso epoca, per il titolo, fortunatissimo, per la storia che raccontava, tanto presente allora, quanto lontana dalla sensibilità e dalla realtà d’oggi.
Il libro apparve nel 1971, per Feltrinelli. Il titolo era: “Vogliamo tutto”, la storia era quella di un operaio del sud che si ritrova a Torino tra le catene di montaggio della Fiat, un operaio estraneo alla politica, “selvaggio”, “che nega il valore-lavoro e mira alla appropriazione violenta della realtà”, come lo descrisse Giulio Ferroni nella sua Storia della letteratura italiana. “Vogliamo tutto” divenne per quanti avevano letto il romanzo e per quanti si erano fermati alla copertina (i più) uno slogan facile, seducente, pronto all’uso, espressione di una certa ideologia e di una certa militanza, un obiettivo totale, che cancellava mediazioni e conciliazioni, sistemando all’orizzonte una presunta rivoluzione. La scrittura si fondava sulla trascrizione di materiali registrati e poi sommati, agglomerati, aggiustati, adottando la tecnica del collage linguistico, secondo una vocazione alla rappresentazione della vita senza i condizionamenti presunti della lezione letteraria. Una scrittura che voleva essere la realtà e qualche cosa di più della realtà, contro ogni possibile realismo, una scrittura che generò facilmente schiere di imitatori.
Il romanzo fu accolto tra sentimenti assai contrastanti. Convinse e non convinse. Sicuramente divise. Memorabile una stroncatura di Goffredo Fofi su uno degli ultimi numeri dei “Quaderni piacentini”: “Vogliamo tutto tranne Balestrini”. “Un brutto romanzo”, scrisse Fofi: “La linearità potoppista è talmente evidente e schematica da risultare quasi patetica: così come è patetico sentir teorizzare uno dei rari operai di quel gruppo o questo Balestrini in modo irrimediabilmente accessorio rispetto ai testi dei loro maestri di teoria…”. Maestri come Mario Tronti o Toni Negri: “potoppista” sta per operaista di Potere operaio, il gruppo fondato appunto dal professore di Padova.
Sembrano cose di un altro mondo e sono sicuramente cose di mezzo secolo fa. Lontanissime, ignorate ormai dai giovani. Balestrini le visse e le raccontò, in particolare nel suo romanzo più riuscito, “Gli invisibili”, romanzo pubblicato nel 1987, pensato e scritto nel decennio che da Craxi condusse a Berlusconi, romanzo che attraverso la vicenda di un giovane, Sergio, analizza la sconfitta di una generazione, sconfitta che si perpetua nell’incapacità di individuarne le ragioni. La trama è il movimento del ’77, la rivolta, il processo, il carcere, la protesta violenta nel carcere (il riferimento è a quanto avvenne nel penitenziario di Trani). Il senso è la fine ed è l’isolamento: “… abbiamo fatto i buchi in tutte le reti e poi abbiamo fatto le fiaccole le fiaccole si facevano con pezzi di lenzuoli legati stretti e poi imbevuti d’olio e allora anche lì all’ora stabilita nel mezzo della notte tutti accendevano l’olio delle fiaccole e infilavano questi fuochi nel buchi delle grate ma anche li non c’era nessuno che li vedeva le fiaccole bruciavano a lungo doveva essere un bello spettacolo da fuori tutti quei fuochi tremolanti sul muro nero del carcere in mezzo a quella distesa sconfinata ma gli unici che potevano vedere la fiaccolata erano i pochi automobilisti che sfrecciavano piccoli lontanissimi sul nastro nero dell’autostrada a qualche chilometro dal carcere…”.
Nelle righe che abbiamo trascritto, pressoché le ultime del romanzo, si legge una scrittura che è un flusso continuo senza punti e virgole, per brevi capitoli, testimonianza dell’evoluzione di una ricerca che ha sempre contraddistinto il lavoro di Nanni Balestrini, dalla poesia del primo impegno al romanzo d’esordio, “Tristano” del 1966, da “Vogliamo tutto” a “Gli invisibili”, a “L’editore” (del 1989, dedicato alla tragica vicenda di Giangiacomo Feltrinelli). Quando sperimentalismo letterario ed estremismo politico si intrecciano e diventano, l’uno e l’altro insieme, linee di vita. “Gli invisibili” apparve nel 1987, a dieci anni dall’inchiesta condotta dal giudice padovano Calogero, inchiesta che colpì Autonomia operaia e che condusse più tardi all’arresto di Toni Negri e che costrinse anche Balestrini a fuggire in Francia per evitare la cattura (il processo, nel 1982, lo assolse da qualsiasi responsabilità e Balestrini fu libero di tornare in Italia).

Le prime prove letterarie di Balestrini risalgono agli anni cinquanta (pubblicò poesie in una rivista diretta da Gillo Dorfles). Nel 1956 iniziò a collaborare al “Verri”, la rivista diretta da Luciano Anceschi. Altro momento fondamentale fu per lui la partecipazione, insieme con Elio Pagliarani, Edoardo Sanguineti, Alfredo Giuliani e Antonio Porta, alla antologia poetica “I Novissimi”. Con “I Novissimi” s’avviò una vicenda che condusse alla nascita del Gruppo 63 (al termine di un convegno che si tenne appunto nel 1963 a Palermo), gruppo cui aderirono tra gli altri Umberto Eco, Furio Colombo, Angelo Guglielmi, Alberto Arbasino, Giorgio Manganelli, critici nei confronti della letteratura in auge, accusata di tradizionalismo provinciale e di vocazione all’intrattenimento, attenti invece ai cambiamenti sociali, con l’ambizione di documentare la trasformazione di un paese di contadini in una “potenza” industriale, sottraendosi anche in letteratura, nei contenuti e nei modi, alle logiche consumistiche.
Balestrini fu di queste intenzioni uno dei più battaglieri e coerenti interpreti. Come potrebbe confermare la sua ricchissima biografia letteraria e intellettuale e pure la sua produzione visiva con allestimenti di mostre e performance in Italia (nel 1993 anche alla Biennale di Venezia) e all’estero.
Di Nanni Balestrini impossibile infine non ricordare quel saggio-raccolta di documenti che fu “L’orda d’oro”, autore con lui Primo Moroni, curatore Sergio Bianchi, prima pubblicazione (con Sugarco) nel 1988, seconda nel 1997 (per Feltrinelli). Sottotitolo: “1968-1977. La grande ondata rivoluzionaria e creativa, politica ed esistenziale”. E’ il compendio, tendenzioso e ambiguo, con una straordinaria dovizia di materiali, di un decennio secondo due protagonisti, un decennio che in realtà comincia molto prima, negli anni della ricostruzione. Con gli inevitabili riferimenti a ciò che accadeva altrove, dall’America di Corso e Ferlinghetti al Vietnam.
Oltre la storia, oltre il “mito”, il lavoro di Nanni Balestrini e di Primo Moroni ci consegna un bilancio. Così come non si può negare la ricchezza di quegli anni, ricchezza di un dibattito politico e culturale che aprì pure la strada a molte conquiste, a molte riforme, a molti cambiamenti, non si può nascondere che generosità, passioni, utopie non impedirono (e come avrebbero potuto?) le stragi, gli anni di piombo, il terrorismo, non salvarono neppure da clamorosi abbagli tanti intellettuali, che riuscirono ad associare “Gli anni più belli della nostra vita” alla “Lotta armata” (dalla premessa alla prima edizione), contribuendo purtroppo ad avviare la stagione, non ancora chiusa, “del cinismo, dell’opportunismo e della paura” (dall’ultima riga dell’ “Orda d’oro”).
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