Cosa fare
per neutralizzare il veto
dei sovranisti sul NGEU
Nei giorni scorsi su strisciarossa Pier Virgilio Dastoli, Presidente del Movimento europeo, ha efficacemente sintetizzato lo stato dell’arte sulle procedure relative all’approvazione definitiva del Next Generation Eu e della sua utilizzazione (https://www.strisciarossa.it/next-generation-eu-il-voto-a-maggioranza-contro-i-ricatti-di-ungheria-e-polonia). Dastoli ha spiegato il cul de sac nel quale ci si è venuti a trovare a seguito delle controverse decisioni da adottare in Consiglio. Quella, a maggioranza, sulla condizionalità per l’accesso ai fondi europei. E quella, all’unanimità, così dicono i Trattati, sul bilancio 2021-2027 e sopratutto sull’aumento del massimale delle risorse proprie dall’1,2 al 2 per cento. Conditio sine qua non perchè la Commissione europea possa lanciare sui mercati azionari l’offerta di obbligazioni per 750 miliardi.
Ora Ungheria e Polonia, considerandosi vittime della prima decisione, presa a maggioranza, con l’appoggio della Slovenia tengono in ostaggio il Consiglio e le altre istituzioni potendo mettere il veto sulla seconda decisione (https://www.strisciarossa.it/fondi-europei-e-giusta-la-pregiudiziale-democratica/ )

A questo punto s’impone una riflessione sulla politica europea, guardando dentro alle sue contraddizioni, certamente note, anche ai responsabili politici europei. Abbiamo tutti considerato una decisione storica quella del Consiglio Europeo del 21 luglio scorso. Finalmente si decideva di “creare un debito pubblico” comune, il contrario delle politiche di austerità. Questa decisione, tra le altre positività, porta al tema della creazione di un Tesoro europeo, della trasformazione del MES in un Fondo monetario europeo, eccetera.

Queste proposte sono sul tavolo da tempo. Le avanzò il presidente francese Macron nel suo discorso alla Sorbona del settembre 2017. Sono state discusse più volte dal Parlamento europeo. Ne ha parlato la cancelliera Merkel. Sono le proposte di chi vuole un avanzamento dell’integrazione. Sono decisioni “pesanti”, che richiedono il completamento dell’Unione bancaria e la riforma dei Trattati.
Regola dell’unanimità
In questo contesto, è evidente che una delle norme da mettere in discussione è quella della regola dell’unanimità perché non si può pensare di gestire la moneta e un embrione di politica fiscale comune con le regole attuali. Ne è una conferma il fatto che la Banca Centrale Europea (BCE), unica istituzione “federale” dell’Unione, presieduta da Mario Draghi poté dar corso al suo ormai famoso “whatever it takes” con decisioni adottate a maggioranza, con il voto contrario dei rappresentanti tedesco e olandese nel board.
Cosa ci si doveva aspettare adesso, di fronte alla necessità di percorrere l’ultimo miglio di una decisione storica, occasione imprescindibile per pensare di lanciare sul serio a una riforma dei Trattati?
Semplice (a dirsi, ovviamente): evitare fughe in avanti ed esercitare il massimo della responsabilità politica ed istituzionale da parte di tutti gli attori, in Italia e in Europa.
Nel dibattito invece sono entrate due questioni evocative di scenari di grande complessità. Per esempio si è parlato di debito da cancellare. Questione giustamente e rapidamente accantonata nel momento in cui si deve alimentare un clima di fiducia verso l’operazione del Next Generation EU da parte dei mercati finanziari (e Christine Lagarde ha ricordato che ogni decisione al riguardo è vietata dai Trattati).
La questione dello stato di diritto
C’è poi la questione dello Stato di diritto. E’ stato giusto, come ha fatto il Parlamento europeo, affrontarla nel momento in cui si decide la mobilitazione, in totale, di 1800 miliardi. Ed aveva fatto bene, già a luglio del 2019, a mettere sul tavolo la questione Ursula von der Leyen, proponendo la “creazione di un meccanismo di monitoraggio dello Stato di diritto”, riportando in una dimensione oggettiva la gestione di procedure che si rendessero necessarie contro questo o quello Stato membro .

Su questa linea c’è stata una laboriosa trattativa tra Presidenza del Consiglio (in questi mesi affidata alla Germania), Parlamento europeo e Commissione. Si è arrivati ad un compromesso, parola da nobilitare nel contesto di una Unione a 27 Stati. Questa proposta lascia insoddisfatti due paesi, Polonia e Ungheria, che già nel recente passato sono stati oggetto della procedura prevista dall’articolo 7 del Trattato sull’Unione Europea (TUE).
Il fatto è che siccome in questo momento Next Generation EU e bilancio pluriennale sono legati, simul stabunt simul cadent, occorse fare un ulteriore sforzo.
Non si tratta di tornare indietro rispetto all’accordo già negoziato. Nei prossimi decisivi giorni si può trovare modo, per esempio attraverso una Dichiarazione delle istituzioni, affermare che si intende rilanciare e precisare la proposta di un meccanismo di monitoraggio indipendente che potrebbe avvalersi anche della Agenzia dei diritti fondamentali dell’Unione che ha sede a Vienna (come proposto da una petizione del Movimento europeo e da decine di organizzazioni in tutta Europa).
La concezione intima dello Stato di diritto, del resto, presuppone l’indipendenza del giudice per accertare eventuali violazioni. E questo giudice esiste, è la Corte di Giustizia dell’UE di Lussemburgo che dovrebbe avere la competenza per sanzionarle.
Non si lasci dire alla “spudorata” Giorgia Meloni che il Parlamento europeo, cioè una istanza politica, potrebbe metterebbe sotto processo i suoi sodali ungheresi o polacchi. Si deve distinguere tra la legittima e necessaria vigilanza politica, ad opera del Parlamento europeo, sul rispetto dei principi fondamentali su cui si basa l’Unione (articolo 2 TUE), e le procedure da mettere in campo per accertarne e sanzionarne eventuali violazioni da parte di chiunque.
Occorre fare questo sforzo estremo se si vuole dare una risposta concreta e forte alle future generazioni europee. Non a caso è stato chiamato così l’impegno straordinario per contrastare la crisi provocata dalla pandemia. Non si tratta quindi di relativizzare questioni di principio fondamentali, ma di collocarle correttamente nella dialettica tra le diverse istituzioni europee.
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