Discriminato
perché mio padre
era comunista

Ho 78 anni e la mia partecipazione all’attività politica può ben considerarsi nulla se non per le conseguenze che ho dovuto subire per essere stato figlio di un comunista che dopo lo sbarco alleato in Sicilia non ha esitato a disertare dal suo posto di sotto-ufficiale del regio esercito per mettersi a capo di un modesto raggruppamento di partigiani nella zona di Verona-sud. Lascio a voi immaginare cosa lo attendeva se fosse stato catturato.

La decisione di avvicinarsi alle idee comuniste era maturata definitivamente dopo aver assistito alle barbarie dei miliziani fascisti con il tacito, ma non troppo, consenso dell’esercito in Etiopia dopo l’attentato al generale Graziani. Uno dei punti fondamentali del suo insegnamento è stato che bisognava leggere la stampa, il giornale preferito era l’Unità, ma ragionare di testa propria e aderire solo se si riteneva che quanto esposto corrispondeva alle idee maturate fino a quel momento. Ciò mi ha fatto diventare un fedele lettore de Il Manifesto anche se ciò mi ha portato in urto con “i compagni ufficiali”, tra i quali mio suocero che in casa mia mi ha fatto oggetto di un vero atto di spregio scaraventandomi il giornale sui piedi.

Prima di allora la salma di mio fratello morto alla età di 16 anni il giorno del mio dodicesimo compleanno era stata posta al centro della chiesa (mai “onore dell’altare”) e noi 4 famigliari eravamo stati girati con lo sguardo verso la porta centrale abitualmente usata come porta di uscita perché mio padre era segretario del PCI della locale sezione. In sede di confessione – mio padre non ci ha mai proibito di frequentare la chiesa in omaggio alle sue idee sopra esposte – mi venne detto “fallo convertire che quella tragica morte è forse un segno del Signore”.

Le disavventure che mi hanno investito non sono finite lì e voglio enumerarvi le principali. Laureato in Ingegneria con grandi sacrifici data la situazione finanziaria della famiglia, ho fatto domanda di fare il servizio militare da ufficiale e alla visita medica mi sono sentito dire che date le mie condizioni fisiche non potevo fare l’ufficiale e sarei stato assegnato a un corpo operante nel Sud. Dopo pochi mesi sono stato assegnato al corpo di Artiglieria da Montagna della caserma di Bolzano.

Quì il comandante mi accolse con un’espressone di piacere: “finalmente una persona di cultura”. Dopo pochi giorni mi portò al magazzino della caserma dove mi mise agli ordini di un militare con un livello di istruzione da analfabeta se paragonato al mio. Finito il servizio militare e tornato a casa, volendo accontentare la mamma che non vedeva di buon occhio che io facessi l’insegnante, mi sono messo a fare il libero professionista approfittando di alcuni amici che avevano piccole imprese. Ho poi fatto il salto nel campo dei lavori pubblici per piccoli comuni limitrofi a Verona dove malgrado il mio impegno e la riconosciuta capacità sono stato messo alla porta con il chiaro detto “lei è un comunista”. Ho potuto lavorare finché venivo presentato da una società di ingegneria il cui nume tutelare era un commercialista che nulla sapeva di ingegneria ma che era dentro ai circoli politici che contavano qui a Verona e in questo breve periodo mi ha aiutato l’essere comunista visto che il nostro uomo era terrorizzato dalla sola parola “comunismo”.

Finito di lavorare mi è successo quanto magistralmente descritto da Sartre nel suo libro “Io, l’idiota di famiglia” a proposito di Flaubert: dal 2002 in poi passo da una crisi epilettica all’altra per cui il mio comunismo si limita alla lettura e a qualche piccolo intervento nelle conferenze cittadine.
Scusate per il tempo che vi ho fatto perdere, inutile dire che non voglio portare via spazio al vostro prezioso lavoro. Auguro a strisciarossa una costruttiva sopravvivenza