Migrazioni: da Salvini più insicurezza

Ogni Stato fissa regole, norme diritti doveri, per i propri cittadini che risiedono, escono e rientrano e per i cittadini di altri Stati che arrivano al proprio interno. Il rispetto delle regole è gestito con l’amministrazione e, eventualmente, con la giustizia. Il fatto è che le regole sono diverse in ogni Stato. Qualcuno potrebbe trovarsi in condizioni di irregolarità per il sistema istituzionale del nostro paese, le stesse condizioni potrebbero garantirgli regolarità in altri paesi. Oppure vi possono essere cambiamenti normativi, anche drastici, ciò che prima era regolare divenire irregolare, e viceversa, pur considerando una certa recente uniformità almeno a livello europeo. Inoltre, chi ha qualche irregolarità può non saperlo o, sapendolo, potrebbe sperare che nessun altro lo sappia, attendere e cercare di sistemare le cose. Insomma è quasi impossibile avere statistiche certe, comparabili nel tempo e nello spazio.

Qualche giorno fa il Ministro dell’Interno ha dichiarato che gli stranieri presenti irregolari in Italia sarebbero meno di 100 mila. Al termine di una riunione su sicurezza, terrorismo, estremismo islamico e immigrazione, tenutasi al Viminale, ha verbalizzato: “Dal combinato dei dati degli ultimi 4 anni e mezzo emerge che in Italia si ha una clandestinità di 90mila soggetti massimo essendo pessimisti, il numero di irregolari che si stima siano presenti sul nostro territorio è molto più basso anche rispetto a quanto potessi presumere”. Forse voleva gloriarsene come risultato dell’azione governativa, è un’ipotesi fondata. Del resto, nel contratto di governo aveva fatto scrivere 500mila. Tuttavia, sono errati numeri, contesto, definizioni, indirizzo politico.

I numeri. Vari accreditati rapporti (Ismu, Ispi, ecc.) indicano in circa 535mila il numero di stranieri irregolari al dicembre del 2018, con un trend in costante crescita. La cifra proposta dal Ministro dell’Interno risulta da un calcolo matematico del tutto arbitrario, gli sbarcati in Italia (circa 475 mila) che non sono stati “regolarizzati” dai nostri centri di accoglienza (quasi 120 mila) o non sono poi usciti dal nostro paese (oltre 265 mila). Ma quanti di quelli sbarcati o arrivati in precedenza erano e sono rimasti “irregolari” in Italia? E quanti sono arrivati non via mare o via mare senza essere stati contabilizzati (e quanti morti lungo il percorso)? E quanti avevano un regolare visto o permesso e hanno poi iniziato la via crucis di un utile lavoro nero irregolare? E quanti erano regolari e stanno diventando “irregolari” a causa del decreto cosiddetto “sicurezza” dell’attuale governo? E come mai il governo attuale fa pochi rimpatri e non ha fatto nessun nuovo accordo per i rimpatri? La risposta a queste domande è possibile (almeno a livello di stima scientifica) e mostra il fallimento delle politiche Conte-Salvini-Di Maio: il numero degli sbarchi non c’entra nulla con la residenza irregolare.

Il contesto. Se si comparano i numeri per più anni e con altri paesi, si assume la logica dei Global Compact, ovvero la reciproca informazione globale sulle dinamiche dei flussi migratori, quelli molto forzati e quelli più liberi. L’intervallo di tempo suggerito dal Ministro dell’Interno (2014-2018) è del tutto arbitrario, sia rispetto alle legislazioni (italiana ed europea) sia rispetto alle tendenze emigratorie dal Nord Africa attraverso il Mediterraneo. Non essendoci voli e traghetti di linea, risultando minimi i corridoi umanitari (nonostante il dramma dei lager in Libia prima e durante rispetto alla guerra in corso), tempi mezzi costi rotte sono tutti decisi dagli scafisti del deserto e del mare che si regolano solo in base alle possibilità concrete di guadagnarci, qualunque siano le regole dei paesi di transito, qualunque sia la sorte dei viaggiatori. Calcolare quanti emigrano dall’Italia è più facile, oggi sono di più di quanti immigrano da altri paesi. Non si sfugge dalla necessità di un accordo globale su reciproci emigrazioni e immigrazioni.

Le definizioni. Irregolari e clandestini sono termini quasi mai definiti chiaramente e correttamente, fanno parte di una narrazione propagandistica, hanno incerto significato giuridico, statistico, sociologico. Come qui già scritto la più grande sanatoria di immigrati irregolari è stata fatta da Lega e Alleanza nazionale nel 2002. Il pessimismo e l’ottimismo espressi dal Ministro dell’Interno sono del tutto arbitrari, legati alla contingente polemica infra-governativa, poveri di spirito. L’attuale governo ha proseguito una strada spesso invocata o perseguita negli ultimi due decenni, con responsabilità anche di altri governi: ridurre al minimo, fino ad azzerarli possibilmente, canali regolari di ingresso in Italia, far diventare irregolare ogni immigrato. Ciò non ha diminuito i flussi (che dipendono da tutt’altro) ma ha aumentato i profitti degli scafisti, la variabilità e intermittenza dei tragitti, il costo materiale e psichico di tanti migranti (anche forzati), l’irregolarità degli arrivi (aprendo spesso la strada ad altre illegalità e al mercato della delinquenza), l’insicurezza dei residenti in Italia.

Instalazione al Maxxi, una barca costruita con le scarpe dei migranti. Foto di Ella Baffoni

L’indirizzo politico. I numeri (forse non le percentuali) sono destinati a crescere nel medio periodo, non a diminuire, ce lo dice la geopolitica, ce lo lasciano purtroppo prevedere i conflitti in corso, ce lo confermano gli scenari climatici. Arriveranno ancora anche migranti forzati (profughi), individui in fuga (attraverso precarie uscite di emergenza) meritevoli sempre di cura. Una parte dei profughi riceverà lo status di rifugiato sulla base delle attuali norme internazionali e occorrerebbe favorire il più rapido diffuso superamento di quello status per gli individui rifugiati. La residua parte dei profughi merita comunque di essere assistita all’inizio, esattamente come chi è immigrato con qualche margine di libertà, sono persone da rispettare e che forse possono essere utili alle nostre società e alle nostre regole civili.

Vi sono obiezioni di paura e pancia, argomenti contrari fanno riferimento alla capacità di carico del luogo (dello Stato) di immigrazione, quello dove viviamo noi. Da una parte, si dice, la comunità chiamata ad accogliere può non reggere sul piano socio-demografico i nuovi arrivi: sono troppi, occupano mercato del lavoro, intasano i servizi, abbassano il tenore di vita. Dall’altra parte, si dice, le identità culturali sono minacciate di snaturamento e sradicamento da convinzioni e pratiche sorti in contesti differenti, poco disponibili a contaminarsi, pericolosi per invadenza. Discutiamone civilmente, sono argomenti deboli e poveri, acquiescenti a forti e potenti, meglio ripeterlo. Studi ed esperienze dicono il contrario. Cambiare prospettiva significa guardare insieme a immigrazioni ed emigrazioni da e verso Europa e Italia e tutte le rotte, mettere alla prova delle nostre regole tutti quelli che arrivano, con i dovuti controlli. Ciò consentirebbe di affrontare meglio anche l’emergenza degli sbarchi in porti che dovrebbero essere sempre aperti (come ripete da tempo la voce coerente del Papa).

 

La rubrica MIGRAZIONI è a cura di Valerio Calzolaio e Pietro Greco