Migranti e Irlanda del Nord, Johnson ora rischia di pagare le sue vergogne

Boris Johnson non pensa che le regole dei comuni mortali valgano anche per lui. Non lo pensa in quanto è il prodotto peggiore di una classe dirigente selezionata per arroganza, privilegio e sicumera. Ma un conto è non pensarlo quando sei a capo della Oxford Union o un arrogante leader del Bullingdon Club, club per i maschi prediletti dell’élite oxoniana, noto per sfasciare locali, insultare minoranze e lavoratori e fregarsene delle conseguenze. Un altro è farlo da Primo Ministro quando rischi di rovinare la reputazione del tuo paese. Difficile in effetti immaginare qualcuno in grado di fare peggio di Boris Johnson, da questo punto di vista.

Boris Johnson
Boris Johnson

Che si tratti di diritto costituzionale, norme anti-covid, legge internazionale o politiche migratorie, per il governo di Boris Johnson non fa molta differenza. Il suo interesse politico e personale val bene una sospensione del parlamento, la partecipazione a party di varia natura in pieno lockdown, la violazione di trattati da lui stesso firmati o l’istituzione di una delle più odiose e contrarie allo spirito delle norme internazionali tra le politiche migratorie d’Occidente.

In tutti i casi non ci si può togliere dalla testa che la ragione principale delle sue ripetute violazioni di norme domestiche e internazionali non discenda da aspirazioni valoriali o principi inderogabili, ma dal tentativo di distrarre l’attenzione del pubblico e dei media dallo scandalo precedente. Viene chiamata “strategia del gatto morto”, una definizione inventata dallo stesso Johnson in un suo classico articolo euroscettico del 2013, dove spiegava come un suo amico australiano gli avesse spiegato che quando i fatti sono contro di te, l’importante è far parlare d’altro, cosa che avverrebbe appunto gettando un gatto morto sul tavolo.

E a prescindere dall’ineleganza della metafora, e del suo autore, quello che è successo in Gran Bretagna nello spazio di quarantotto ore sembra senz’altro afferire a questo filone di, chiamiamolo cosi, pensiero strategico johnsoniano. A fronte di sondaggi che vedono oltre il 50% dei membri del suo stesso partito, e un buon 40% dei suoi parlamentari che ne vogliono le dimissioni, Johnson sta infatti provando a rilanciare la sua premiership con due azzardi politici, due mosse veramente aggressive che stanno ulteriormente rovinando la reputazione internazionale del Regno Unito: il piano per deportare i richiedenti asilo in Ruanda, che avrebbe dovuto diventare operativo martedì scorso, e la decisione di violare il diritto internazionale avviando, lunedì scorso, il percorso legislativo di un procedimento che viola unilateralmente il Protocollo dell’Irlanda del Nord negoziato dal governo stesso come parte degli accordi sulla Brexit.

Una politica di immigrazione vergognosa e illegale

La nuova politica migratoria del governo Johnson fortemente voluta dalla ministra dell’interno di origini ugandesi Priti Patel (un paio di anni fa costretta ad ammettere che i suoi genitori non sarebbero potuti arrivare nel Regno Unito con le regole che ora lei stessa propone) tenta di mostrarsi severa nei confronti dell’immigrazione espellendo i richiedenti asilo che spesso arrivano da teatri di guerre in cui lo stesso Regno Unito era coinvolto, come l’Afghanistan e la Siria, verso il Ruanda, un paese autoritario con uno spaventoso record in materia di diritti umani e diritti LGBTIQ. I richiedenti asilo verrebbero cioè trattenuti a spese dei contribuenti a oltre 5000 miglia da Londra mentre aspettano che il loro appello sia considerato. In caso di successo, possono rimanere in Ruanda, ma non nel Regno Unito.

Uno schema privatamente condannato come “spaventoso” dal principe Carlo e pubblicamente denunciato dall’arcivescovo di Canterbury come qualcosa che “dovrebbe farci vergognare come nazione”. All’imbarazzatokeir starmer silenzio del leader dell’opposizione Keir Starmer, che non ha escluso di continuare lo schema, per fortuna ha fatto da contraltare la denuncia del vecchio leader Jeremy Corbyn che lo ha definito “una disgrazia”.

Chiaramente gli accordi stipulati da molti paesi europei per esternalizzare le proprie frontiere in Turchia e in Libia non sono molto diversi da quello britannico e vanno denunciati precisamente perché negano una via di accesso legale ai nostri paesi, lasciando i migranti bloccati nei campi di detenzione in paesi in cui i loro diritti sono spesso calpestati. Ma lo schema britannico risulta perfino peggiore perché riguarda la deportazione di cittadini già arrivati nel Regno Unito e spesso nelle condizioni di ottenere asilo, che invece otterranno, se gli va bene, in un paese lontanissimo da quello in cui lo cercavano.

Anche per questo l’indignazione non si è limitata al Regno Unito: l’alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati Filippo Grandi ha dichiarato che l’accordo con il Ruanda “viola i principi fondamentali dei rifugiati”, sottintendendo che il governo britannico ha mentito nel difendere il controverso piano.

Grandi proteste contro il primo volo per il Ruanda che doveva partire martedì sera si sono svolte sia a Londra che a Glasgow, e diversi attivisti si sono radunati anche fuori dalle strutture di detenzione nel Wiltshire, dove erano trattenuti i richiedenti asilo che avrebbero dovuto essere sul volo. Tuttavia a seguito di una serie di ricorsi last minute prima alle alte corti britanniche e poi alla Corte europea per i diritti umani (CEDU), il volo per il Ruanda è stato infine bloccato in quanto non erano rimasti più cittadini “deportabili” dopo che, uno dopo l’altro, gli ultimi sette rimasti vedevano accolti i loro ricorsi.

Un’importante sconfitta simbolica che può essere il preludio a un definitivo affossamento per via legale di uno schema che va contro basilari principi delle norme internazionali sui rifugiati, come sottolineato dallo stesso alto commissario dell’ONU. La risposta dell’amministrazione Johnson è per ora la minaccia di ritirare il Regno Unito dalla CEDU, cosa che allineerebbe il paese alla Bielorussia e alla Russia, nell’ennesima guerra all’Europa, dove non si fa più nemmeno distinzione tra l’Unione Europea e una corte che con la UE non c’entra nulla e che ha come compito quello di interpretare la Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, creata anche grazie al contributo di Winston Churchill e oggetto di un esilarante video dei Monty Phyton di qualche anno fa.

Violare il diritto internazionale in Irlanda del Nord

Del resto, oltre a prendere di mira i rifugiati per ottenere il sostegno di settori razzisti e xenofobi della società, una posizione aggressiva nei confronti dell’UE si è sempre rivelata vincente per Boris Johnson. Non sorprende quindi che lunedì sera l’impopolare primo ministro abbia pubblicato l’ennesimo disegno di legge che tenta di scavalcare il Protocollo dell’Irlanda del Nord, la parte dell’accordo di recesso tra Regno Unito e UE che riguarda il complesso rapporto tra l’Irlanda del Nord e la Repubblica d’Irlanda.

boris_johnsonIl governo del Regno Unito ha prima negato, poi ammesso che il nuovo disegno di legge viola il diritto internazionale. Eppure, con l’assoluto disprezzo per la legge che sembra essere il suo marchio di fabbrica, Boris Johnson ha liquidato la violazione come “banale”, un commento che ricorda la risposta del 2020, quando l’amministrazione Johnson si autocongratulava per aver violato il diritto internazionale ma soltanto “in modo specifico e limitato”.

Nel frattempo, l’ex ministro conservatore Rory Stewart ha descritto il disegno di legge su Twitter come “la più pericolosa e vergognosa di tutte le cose vergognose che Boris Johnson ha cercato di fare nei suoi numerosi tentativi di creare distrazioni e aggrapparsi al potere. Sarà un male per l’Irlanda del Nord e un male peggiore per la reputazione internazionale del Regno Unito”. Il ministro degli Esteri irlandese Simon Coveney ha definito la mossa di Johnson “un nuovo punto più basso” nelle relazioni britannico-irlandesi, sottolineando che l’Irlanda non deve essere “il danno collaterale della politica irresponsabile del governo britannico”. I politici dell’Irlanda del Nord hanno fatto eco a questo sentimento. Una netta maggioranza dell’assemblea dell’Irlanda del Nord rieletta a Maggio è infatti favorevole al Protocollo dell’Irlanda del Nord, che non solo protegge l’accordo del Venerdì Santo, ma ha anche ridotto l’impatto economico della Brexit per l’Irlanda del Nord rispetto al resto del Regno Unito grazie all’accesso al mercato unico europeo.

La Brexit che proprio non funziona e la Scozia che se ne vuole andare

La crisi del costo della vita sta infatti colpendo molto duramente il Regno Unito: l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico valuta le prospettive del Regno Unito come le peggiori nel G20, con l’unica eccezione della Russia sanzionata e si moltiplicano le analisi che attribuiscono all’uscita dal mercato unico europeo e al conseguente crollo delle esportazioni e alla fuga dei lavoratori il differenziale negativo di prospettive di crescita e inflazione tra il Regno Unito (attualmente al 9% mentre viene proiettata al 11% entro Ottobre) e gli altri grandi paesi europei (in Italia siamo al 7%, in Francia al 5% e in Germania al 8%). Non deve dunque sorprendere che perfino alcuni deputati conservatori inizino a parlare di ritorno nel mercato unico e l’esigenza di mitigare il costo della Brexit tornando nella UE è uno dei temi centrali del piano per l’indipendenza rilanciato proprio martedì dalla prima ministra scozzese Nicola Sturgeon insieme al leader dei Verdi scozzesi Patrick Harvey. Il documento presentato esamina una serie di paesi europei che sono tutti più prosperi e meno iniqui del Regno Unito e sostiene che, seguendo il loro esempio di nazioni indipendenti, anche la Scozia potrebbe diventare un paese “più ricco, più felice e più giusto”, tutto quello che il Regno Unito non potrà mai essere mentre Boris Johnson continua imperterrito a distruggerne l’immagine internazionale.