Migliaia in piazza contro le mafie, ma del governo non c’era nessuno
Gli uomini passano, le idee restano e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini”. Così scriveva pochi mesi prima di essere barbaramente assassinato Giovanni Falcone il 23 maggio 1992. Ieri, cinquantamila persone hanno fatto proprie le parole del magistrato siciliano ed hanno marciato lungo le vie di Padova in occasione della Giornata della memoria e dell’impegno organizzata da Libera e Avviso Pubblico.
Più di mille vittime innocenti di mafia censite dalla fine dell’800 ad oggi. Tantissime. Troppe. Magistrati, poliziotti, carabinieri, giornalisti, sindacalisti, politici, preti, imprenditori, semplici cittadini. Una vera e propria mattanza. I loro nomi sono stati letti, uno per uno, dal palco di Prato della Valle, così come in altre piazze d’Italia. Tantissimi i giovani presenti. Dall’università alle scuole elementari, con i loro visi puliti, i loro sorrisi freschi, i loro striscioni colorati, questi giovani hanno portato un tocco di vita e di speranza sull’onda di quanto si era già visto lo scorso venerdì in occasione della manifestazione contro il riscaldamento globale del pianeta.
Significativa anche la presenza di tanti sindaci del Veneto e del Nord Est che hanno indossato le fasce tricolori e portato i gonfaloni delle loro città. Nessun rappresentante del governo presente. Peccato, perché come ha gridato ieri dal palco don Luigi Ciotti, presidente di Libera, citando fatti e dati, “le mafie e la corruzione sono il primo problema del nostro Paese”. Anche al venticinquesimo anniversario della morte di don Peppe Diana, a Casal di Principe il 19 marzo, tranne il Presidente della Commissione parlamentare antimafia, nessun altro rappresentate delle istituzioni nazionali era presente, come ha evidenziato il Procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero de Raho. Segno, probabilmente, anche questo che la mafia non è tra i punti principali dell’agenda politica di questo paese.
Non si potranno mai sconfiggere le mafie e la corruzione, veri e propri parassiti della democrazia, come li ha definiti don Ciotti, se si delega esclusivamente questo compito alla magistratura e alle forze di polizia. Che certamente arrestano e fanno i processi, ma questa non può essere la sola via per bonificare la nostra democrazia. Insieme alla repressione, com’è stato detto ieri a Padova, serve contemporaneamente un’attività di prevenzione. Serve, innanzitutto, la politica, quella “credibile e responsabile, che seleziona attentamente i propri candidati, che rifiuta i voti in cambio di favori, che opera nella trasparenza e in nome del bene comune”, come ha affermato Roberto Montà, Presidente nazionale di Avviso Pubblico, la rete nazionale degli enti locali antimafia.
“Le mafie sono diventate simili a noi e noi simili a loro. Avanza la mafiosità. L’interesse privato e l’io vengono sempre più anteposti al bene pubblico e al noi” ha sottolineato con forza don Ciotti. E le tre inchieste antimafia svolte in Veneto nell’ultimo mese, che hanno portato all’arresto di quasi cento persone e al sequestro di beni per venti milioni di euro, non solo confermano queste parole, ma hanno dimostrato che anche nel ricco e laborioso settentrione i mafiosi godano di un certo consenso sociale. Sono diversi, infatti, gli imprenditori, i liberi professionisti, gli operatori del mondo bancario e finanziario che hanno fatto affari con i boss.
Le mafie e la corruzione sono forti perché organizzate. Dobbiamo esserlo anche noi, impegnandoci a rafforzare quella grande rete di “legalità organizzata” che ieri abbiamo visto a Padova. Solo così avremmo la forza per ottenere quella verità e quella giustizia che serve alla nostra Repubblica e che tanti familiari di vittime innocenti di mafia attendono da troppo tempo.
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