Metalmeccanici, voci
dai cortei
“Vogliamo il lavoro”
“Vogliamo semplicemente il nostro posto di lavoro. Conquistato dopo anni di lotte”. Le mani macchiate di grasso e gli occhi lucidi. Accanto la moglie e due figli neanche adolescenti. Quel “semplicemente” è un cubetto di ghiaccio che evapora nella canicola di questo venerdì di giugno napoletano. E che si scioglie tra le urla dei suoi colleghi. Rumorosi, esasperati, incazzati. Rassegnati no, mai. “Siamo della Fiom”. Franco è “semplicemente” uno dei 1400 operai dell’ex Ilva ora ArcelorMittal di Taranto pronti ad essere messi in cassa integrazione. Tempo quindici giorni e “altro giro altra corsa”. E la cinghia da stringere nuovamente. Un mutuo che non aspetta, la macchina appena venduta per avere un po’ di respiro in banca, la vacanza promessa alla famiglia a Parigi a forte rischio. Di promesse, in questi ventidue anni di onorato servizio all’interno del “mostro” siderurgico, ne ha sentite tante. L’ultima avallata da un governo che ha pure votato. “Lo ammetto, un anno fa ho tradito la sinistra per i cinque stelle. Pensavo la risolvessero loro ed invece siamo peggio di prima. Ormai passo più il tempo in piazza che in fabbrica”.
Non è il solo. Davanti a lui, nel corteo che apre la manifestazione dei metalmeccanici in piazza Mancini, i colleghi della Whirlpool, sedotti e abbandonati pure loro. Centrifugati come panni sporchi dalla multinazionale delle lavatrici. “Due giorni fa ero a Roma davanti al Mise. Me lo devono dire in faccia perché chiudiamo”. Giuseppe non si dà pace. “Come se ci avessero cancellato dalla cartina, con un tratto di penna. Io ci lavoro dal 1991”. Non tutti sono venuti in piazza per lo sciopero. Una decina sono rimasti a presidiare lo stabilimento di Ponticelli, zona Est di Napoli. Perché di lasciare incustodita la fabbrica non se ne parla nemmeno. “Questa è casa nostra e noi da lì non ce ne andiamo. Avevamo un lavoro, un futuro, una serenità. Ci hanno tolto tutto in un secondo”, racconta Anna. Un presidio permanente da quel maledetto 31 maggio. Da quando i dirigenti dell’azienda hanno comunicato la cessione dello stabilimento di via Argine con una X rossa su una slide. Una decisione arrivata dopo che, a ottobre, era stato firmato un accordo con il governo per il rilancio industriale e dopo aver usufruito degli ammortizzatori sociali. “Ho il magone ogni volta che supero la soglia di casa. Che racconto ai miei figli? Quali garanzie di futuro posso offrirgli?”.
Le tute blu di Melfi
In corteo ci sono anche le tute blu della Fca di Melfi. “Nel 1994 io c’ero, quando iniziavano le prime produzioni. Eravamo oltre 12mila in fabbrica”, quasi si commuove Antonio, operaio di secondo livello, a pensare a quell’Eldorado diventato oggi deserto. Anche le condizioni di lavoro sono cambiate. In peggio, ovviamente. Tutti anno in mente quel fatidico anno di non ritorno: il 2004. L’anno di Marchionne, incaricato più al risanamento dei conti rispetto al rilancio industriale. Arrivano Pomigliano, Fabbrica Italia, Termini Imerese ma non la produzione di auto pari a 1,4 milioni di veicoli in Italia e neanche i 30 miliardi di investimenti annunciati, né la piena occupazione. “A Melfi arrivano pure i licenziamenti dei delegati della Fiom, la cui vicenda legale si è conclusa qualche settimana fa con l’archiviazione del procedimento penale dopo la vittoria in Cassazione sul reintegro”, ricorda il segretario generale delle tute blu lucane, Gaetano Ricotta.
Tutto il Sud è una pentola a pressione. E il fischio di preludio alla deflagrazione è molto forte. “Il Mezzogiorno è scomparso da troppo tempo. È scomparso dal dibattito, è scomparso dall’attenzione dei riflettori, ma soprattutto è scomparso dalla costruzione di provvedimenti, d’interventi concreti che fossero capaci di fare del Mezzogiorno quello che il Mezzogiorno deve essere: una delle due gambe sulle quali il nostro Paese deve camminare”. Per Walter Schiavella, segretario della Cgil di Napoli, la matematica non può essere mai un’opinione. “La crescita del Paese sarà sempre dimezzata fino a quando metà del Paese non crescerà. E fino a quando si pensa d’intervenire con strumenti uguali su condizioni diseguali, quello che appare come un provvedimento di eguaglianza, eguaglianza non è. Allarga solo le distanze”.
Contro la svalorizzazione del lavoro
Lo ripete a gran voce anche la segretaria del Fiom, Francesca Re David, dal palco di una straripante piazza Matteotti: “Lo sciopero dei metalmeccanici di oggi guarda al governo e alle imprese, guarda alla svalorizzazione del lavoro, alla mancanza di una qualsiasi idea di politica industriale nel Paese, che sta diventando un terra di conquista delle multinazionali, con la conseguenza che l’Italia sta perdendo la sua ricchezza industriale”. La leader delle tute blu della Cgil mette in fila i numeri di una disfatta: sono 160 i tavoli di crisi aziendali aperti al Ministero dello Sviluppo Economico e sta aumentando l’utilizzo degli ammortizzatori sociali in tutti i settori. Negli anni della crisi, tra i metalmeccanici, si sono persi circa 300.000 posti di lavoro, complessivamente; si è perso circa il 25% della capacità produttiva istallata, in particolare in alcune aree industriali del Sud del Paese.
Allarmi che risuonano anche a Firenze e Milano le altre due piazze di questo rovente sciopero generale dei metalmeccanici. Sotto la Madonnina è il segretario della Fim, Marco Bentivogli, a prendere la parola e a puntare il dito contro questo governo che “fa un po’ come Schettino: si avvicina alla scogliera per prendere applausi ma sta facendo affondare la nave. In un anno e due mesi di governo si sta mortificando questa Italia con i condoni fiscali, i sussidi e con la fine degli investimenti sulla industria. Bisogna far ripartire il paese con equità e giustizia”. I metalmeccanici “non si fermeranno e se le richieste resteranno inascoltate, chiediamo a Cgil, Cisl e Uil di prepararsi a un nuovo sciopero generale di tutte le categorie”, strappa gli applausi in piazza Santissima Annunziata a Firenze, il segretario generale della Uilm, Rocco Palombella.
Tre piazze che lanciano un appello unitario per la prossima settimana, il 22 giugno. Questa volta la piazza protagonista sarà Reggio Calabria per la manifestazione nazionale di Cgil, Cisl e Uil che non sarà un’iniziativa solo e soltanto del sud, ma di tutta l’Italia per rivendicare con forza che il Mezzogiorno è una questione nazionale ed europea.
Stefano Milani
https://www.radioarticolo1.it/audio/2019/06/14/40939/futuro-per-lindustria
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