Tagli e superticket:
sanità solo per ricchi

L’Italia spende molto per la sanità? Falso, spende meno degli altri Paesi europei. Nello specifico, secondo i dati del rapporto Istat di luglio 2017, se nel 2014 la spesa sanitaria in Italia è stata pari a circa il 9% del PIL, in Francia e Germania era vicino all’11% e nel Regno Unito al 10% circa. Anche considerando la cosa a livello di singolo cittadino, a fronte dei circa 2.404 euro per abitante spesi in Italia, in Francia, Germania e Regno Unito se ne spendono tra i 3.000 e i 4.000, in Danimarca e Svezia quasi 5.000 (Dati Istat sulla sanità in Europa). Il divario è aumentato nel tempo e riguarda soprattutto la spesa pubblica.

Secondo un altro rapporto, quello curato da CREA Sanità dell’Università di Roma “Tor Vergata” e pubblicato a dicembre scorso: “Negli ultimi 10 anni la spesa sanitaria pubblica italiana è cresciuta dell’1% medio annuo contro il 3,8% degli altri Paesi dell’Europa Occidentale: un quarto, peraltro come il PIL; questo porta la spesa sanitaria pubblica italiana ad essere inferiore del 36% a quella degli altri Paesi considerati” (qui le schede). La spesa privata invece è cresciuta del 2,1% all’anno: un po’ meno di quella europea (2,3%), ma comunque il doppio rispetto a quella pubblica.

Ricapitolando: in generale spendiamo poco per la sanità, ma la spesa privata aumenta più di quella pubblica. E, in effetti, se guardiamo nuovamente ai dati Istat vediamo che nel 2016 la spesa sanitaria, pari a 149.500 milioni di euro, è stata sostenuta per il 75% dal servizio pubblico, mentre per il 25% è a carico di privati. Ma questo non ci dice ancora tutto. Vogliamo capire infatti cosa si intende con privato: scopriamo così che il 90,9% della spesa sanitaria privata è la cosiddetta spesa “Out of Pocket”, ovvero quella che grava direttamente sulle famiglie che pagano prestazioni, ticket e farmaci. Quel poco che resta è data dal costo delle Assicurazioni sanitarie, dalla spesa sostenuta da istituzioni senza scopo di lucro e da quella sostenuta dalle imprese per incentivare la salute nei luoghi di lavoro.

L’Italia spende per tutti i cittadini in modo eguale? Falso. Dal punto di vista sanitario, le differenze fra le regioni sono notevoli e “allarmanti”, secondo gli estensori del rapporto CREA. Tra la regione che spende di più (Provincia autonoma di Bolzano) e quella che spende di meno (la Calabria) il divario pro capite supera il 50%. In altri termini, per il cittadino di Bolzano si spende in salute il 50% in più che per quello di Reggio Calabria. La forbice, che si era ristretta fino al 2009, si è poi allargata nuovamente in corrispondenza della messa in atto dei piani di rientro dal disavanzo sanitario che ha coinvolto molte regioni nel corso di questi anni.

Anche per quanto riguarda il ticket le differenze regionali sono ampie (https://www.federfarma.it/Ticket-Regionali.aspx). Se prendiamo ad esempio il ticket sui farmaci vediamo che sia l’importo sia le modalità di applicazione variano: in alcune regioni è previsto un costo fisso per confezione. In altre, l’importo aumenta a seconda del reddito familiare. In altre ancora, l’importo del ticket dipende dal costo del farmaco. Si va così da regioni che non applicano nessun ticket come l’Emilia Romagna e il Friuli Venezia Giulia, a situazioni come quella del Lazio dove per ogni confezione chi non ha diritto ad esenzioni paga 4 euro se il costo del farmaco è superiore ai 5 euro, e 2 euro e 50 se è inferiore.

Poi c’è il superticket, una tassa introdotta con la finanziaria del 2011 che ha aumentato i costi delle prestazioni visto che prevede il pagamento aggiuntivo di 10 euro su ogni ricetta medica per esami diagnostici o specialistici. Anche questa è applicata in modo diverso da regione a regione. Secondo il monitoraggio di Cittadinanzattiva, ci sono regioni che non lo applicano (Valle d’Aosta, Provincia di Trento e Bolzano), regioni che hanno accolto i 10 euro in modo indiscriminato (Friuli, Liguria, Lazio, Abruzzo, Molise, Puglia, Calabria, Sicilia); regioni che hanno modulato il ticket in base al reddito (Emilia Romagna, Umbria, Toscana, Veneto, Marche); regioni che hanno modulato il ticket in base alla complessità della prestazione (Lombardia, Piemonte, Basilicata, Campania). In ogni caso, si può dire che si tratta di una delle tasse più invise. Cittadinanzattiva ha raccolto 35mila firme per chiederne l’abolizione e Mdp ha fatto della sua eliminazione un punto imprescindibile per votare la legge di stabilità e anche Pisapia chiede di intervenire su questo fronte.

A tutto questo c’è da aggiungere il ticket regionale. Nel Lazio, per fare un esempio, era stato introdotto nel 2008 ed è stato abolito solo a gennaio scorso. Prevedeva una quota aggiuntiva non indifferente a carico del cittadino. Un esempio? Una TAC che sarebbe costata 36,15 euro di ticket nazionale, a Roma costava 36,15 + 10 euro di superticket + 15 euro di ticket regionale. Per un totale di 61,15 euro (qui i dati).
Il risultato paradossale, ma forse non tanto, è che in alcuni casi rivolgersi alla sanità privata è diventato conveniente rispetto a quella pubblica. Chi ci guadagna? Sicuramente non i cittadini che in questa situazione perdono sia in termini economici che di salute. Secondo i dati del rapporto CREA nel 2014 316.402 nuclei familiari (l’1,2% delle famiglie italiane) sono impoverite per colpa delle spese sanitarie, 1.272.038 sono quelle che hanno rinunciato alle cure (5,0%) e 279.160 sono ad alto rischio di impoverimento, ovvero se aumentassero le spese sanitarie del 50% sarebbero impoverite. Quasi 800.000 (781.108) sono invece le famiglie soggette a spese sanitarie catastrofiche.

C’è chi su queste cifre sta già lavorando, cercando di ricavare un proprio tornaconto. Ad esempio le assicurazioni private che sbandierano queste cifre per chiedere di passare dal sistema attuale a un modello di assicurazione sociale integrativa. O l’Associazione nazionale dentisti italiani (Andi) che, nel corso di un convegno al ministero della Salute, ha recentemente rilanciato il progetto dell’assistenza integrativa. Insomma, sotto a chi vuole smantellare il Servizio Sanitario Nazionale, fino a qualche tempo fa orgoglio e vanto del nostro Paese. Dalle sue ceneri c’è da giurare qualcuno ricaverà profitti.