Memoria e politica:
per non essere complici
dei disastri recenti
La memoria è importante. È anche faticosa, ingombrante e qualche volta viene “rimossa”, spesso per lasciare spazio all’odio o alla negazione della Shoah, ma è utile per vivere il presente e guardare al futuro.
Iniziamo dalla Libia. Per l’Italia la storia inizia nel 1911, quando “la grande proletaria si è mossa” (Pascoli) e negli anni Trenta, quando il fascismo “inventa” la Libia. Più recentemente, Berlusconi aveva intrecciato una affettuosa amicizia con il Colonnello Gheddafi, ma nel 2011 (all’improvviso) cambia idea ed aderisce alla coalizione internazionale, promossa dalla Francia di Sarkozy, per abbattere il rais libico. Oggi ne paghiamo le conseguenze drammatiche, ma pochi ricordano che fu il governo Berlusconi di allora, con i suoi alleati della Lega, ad essere corresponsabile di un disastro, che adesso nemmeno le grandi potenze sembrano in grado di sciogliere.
Parliamo delle Autostrade. Sono state l’orgoglio del nostro boom economico e ora sono afflitte da ponti e gallerie che crollano o sono pericolanti. Anche qui serve un po’ la memoria. Il 29 maggio 2008 si è appena insediato il governo Berlusconi IV. Arriva in Parlamento il decreto legge n. 59 e il governo infila nottetempo l’emendamento “Salva Benetton” (l’articolo 8-duodecies), approvato grazie al voto di Salvini e della Lega, mentre tutti i parlamentari del Pd votano contro.
Stesso discorso per l’Alitalia, che fino ad oggi ci è costata 8 miliardi di euro. Anche qui, nel fatidico 2008, un Berlusconi trionfante e sostenuto da una Lega di Bossi e Salvini, ingorda di poltrone, blocca il progetto di Prodi – che aveva quasi concluso un patto di vendita/collaborazione con Air France – all’insegna di “Alitalia agli italiani”. Ma niente paura, tra poco Salvini avrà i “pieni poteri” e troverà di sicuro una soluzione “sovranista” per un’Alitalia che non riesce a volare senza far debiti.
Poi c’è la prescrizione, italica soluzione alla “ragionevole durata” di ogni processo, che fa litigare più del solito il governo giallorosso ed è stata il salvacondotto giudiziario per tanti processi di Berlusconi.
E veniamo alla legge elettorale. La Corte costituzionale ha appena bocciato il referendum proposto dalla Lega perché “eccessivamente manipolativo”. È il minimo che si possa dire, visto che – con una arzigogolata furbizia del solito Calderoli – si voleva imporre all’Italia un sistema maggioritario al 100%. Ma il problema rimane. I padri e le madri costituenti scelsero il sistema proporzionale perché, dopo il fascismo, tutti avevano diritto di essere rappresentati. Il risultato, però, fu un’instabilità permanente, con oltre 50 governi in meno di 60 anni, con trattative, tradimenti, spartizioni e poi una corruzione diffusa. Il 18 aprile 1993, sull’onda di Tangentopoli, ci fu la vittoria clamorosa del referendum per una legge elettorale maggioritaria. Nello stesso anno, Sergio Mattarella, attuale presidente della Repubblica, propose una legge che prevedeva il 75% di parlamentari eletti con il maggioritario e il 25% con il proporzionale. Era una legge equilibrata e ragionevole, cancellata nel 2005, quando il senatore Calderoli, della Lega, si inventa una “porcata” (la definizione è sua) per ostacolare la probabile vittoria dei suoi avversari. Poi ci riprova Matteo Renzi, con il suo “Italicum”, bocciato prima dalla Corte e poi dal catastrofico pasticcio referendario del 2016 e sostituito faticosamente dal “Rosatellum” nel 2017. Adesso, dopo bocciatura della Corte, Salvini grida “vergogna”, ma qualche giorno fa, prudentemente, aveva già proposto di ritornare al Mattarellum, che pure aveva contribuito a demolire. Il Pd, invece, che è sempre stato maggioritario, adesso insegue un proporzionale corretto che piace al M5S. In realtà la soluzione è già pronta e sperimentata con la legge elettorale a doppio turno per l’elezione per i sindaci, che garantisce rappresentanza e governabilità. Ma è troppo logica e lineare. Certo, un po’ di memoria e di buon senso potrebbero aiutare e i soliti complici dovrebbero tacere, ma non succederà mai.
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