Meloni-Sunak, una mission impossible tra contestazioni e antifascismo
Corsi e ricorsi storici. Chi fornì la più importante sponda europea a Mussolini? I governi britannici Tories che mandarono il ministro degli esteri a Roma nel dicembre del 1924 a puntellare un regime in crisi di legittimità dopo l’onda di indignazione per l’omicidio Matteotti. E dove va la Meloni a 48 ore dal 25 Aprile di 99 anni dopo nella prima visita di due giorni in un paese europeo? Proprio a Londra a incontrare il premier Tory e filo brexit Rishi Sunak, in carica da pochi mesi, in una due giorni che nelle aspirazioni della premier doveva unire l’utile di una passerella in compagnia del premier britannico al dilettevole di una due giorni di escursione familiare (con lei, compagno, figlia e il cognato ministro Lollobrigida).

“Meloni Fascista non sei la benvenuta, noi stiamo con i rifugiati!” Al suo arrivo a Downing Street, giovedì, la prima sorpresa: un presidio di emergenza convocato dalla coalizione inglese di Stand Up To Racism (di cui fa parte anche l’Anpi) per protestare contro la visita di quella che larga parte della sinistra britannica descrive e percepisce precisamente così, né nostalgica né pentita, semplicemente fascista. C’erano anche i cartelli e i militanti del Manifesto di Londra che le hanno ricordato che la Repubblica italiana nasce dalla Resistenza che lei tanto critica e le hanno posto tre domande sulla sua vergognosa ed irritante lettera sul 25 Aprile che riporta indietro le lancette dell’orologio della destra Italiana di almeno 20 anni. Per la presidente del Consiglio, non sarà l’unica cattiva notizia della giornata, con l’affossamento del Def a Roma che rovina l’umore durante la visita ai mosaici di Westminster, offerta da un Sunak ben lieto di trovare una sponda dall’unico governo dell’Europa occidentale più a destra del suo.
La sintonia è lampante, funzionale alla strategia di entrambi di normalizzare le relazioni post-Brexit, praticamente mai nominata, e costruire un asse allineato tanto sull’Ucraina quanto sulla linea dura sui migranti che sbarcano sulle rispettive coste, che Sunak vorrebbe deportare in Rwanda, seguendo uno schema già approvato dal governo Johnson, proposito che la Meloni non può mettere nero su bianco perché in contraddizione sia con la decenza che con le regole europee, ma che entusiasticamente difende in conferenza stampa come un’idea che perseguirebbe volentieri, anzi, che ha sempre sostenuto. La difesa dei confini viene prima di quella delle vite dei migranti anche nel Memorandum d’intesa siglato tra le due parti che chiede un minaccioso “cambio di passo” sulla politica migratoria alludendo alla necessità di fare sponda sulla “dimensione esterna” delle politiche migratorie, ovvero centri di detenzione/smistamento in paesi africani partner. Rimangono invece da sbrogliare i dettagli sulla partnership per progettare caccia militari insieme ai giapponesi, in un altro capitolo piuttosto corposo del memorandum.
Il secondo giorno è invece dedicato alla comunità italiana, o meglio alla platea di 400 invitati alla reception organizzata dall’ambasciatore Inigo Lambertini a cui partecipa anche il ministro degli esteri James Cleverly che prima cita il “cicerone britannico” Edmund Burke, filosofo ottocentesco antirivoluzionario, a suo dire ispiratore della Meloni che unisce pragmatismo e leadership, e poi si impelaga in una mezza gaffe ricordando l’importanza dell’influenza della lingua italiana sull’inglese, probabilmente ignorando che la Meloni vorrebbe bandire l’influenza delle parole straniere sull’italiano, seguendo un’altra nefasta tradizione del regime mussoliniano.
Prima di lui appare anche, assai spaesato, Lollobrigida, stavolta in qualità di ministro dell’agricoltura e della sovranità alimentare e la notizia è che non fa gaffes, pardon, figuracce, anche se non ci sono tracce delle sue materie di competenza nel memorandum. Una Meloni piuttosto rilassata sorprende la platea tendenzialmente selezionata per non esserle ostile facendo sfoggio di un inglese leggermente superiore a quello di Renzi e le strappa un applauso dopo poche parole di circostanza quando chiede di “roll up our sleeves”, rimboccarsi le maniche, anche se non chiarisce i contorni della missione. Nessuna menzione dei draconiani tagli ai bilanci dei Comites oggetto di una lettera recapitata dal senatore Crisanti presente al ricevimento e nessuno spazio per i consiglieri del CGIE pronti a dichiararsi antifascisti.
Arrivata a Londra in quella che doveva essere una due giorni in grande spolvero, per darsi pacche sulle spalle con Sunak su chi è più bravo a deportare migranti, trova invece la prima contestazione fuori dai confini italiani, il primo clamoroso e significativo capitombolo parlamentare e la certezza che il suo tentativo di trasformare la natura del 25 Aprile ha finito solo per ribadire il colore della sua faccia: nera, come il suo umore per larga parte della due giorni.
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