Meloni disturbata dalla felicità delle coppie omogenitoriali va alla crociata anti bambini

Che la destra al governo parlasse il linguaggio dell’esclusione delle persone gay, lesbiche, trans e delle loro famiglie non era inatteso. Sia i postfascisti della Meloni che la Lega di Salvini e Calderoli ci hanno abituato da tempo ad un linguaggio carico d’odio e ad azioni di discriminazione istituzionale transomofobica.

D’altra parte questa destra è arrivata al potere con un carico di antieuropeismo e di proposte economiche populiste che oggi fatica a gestire dalla plancia di comando del paese e va da sé che in questi casi, come la storia ci insegna, chi ha da percorrere una strada stretta sul piano delle misure economiche sfoga la sua ansia identitaria sul terreno ideologico. Ed ecco pronti i consueti bersagli prioritari: i migranti, tacciati da invasori, i poveri, additati come fannulloni, e le persone Lgbtqia+ (acronimo caleidoscopico che compendia l’nsieme delle persone lesbiche, gay, bisex, trans, queer,intersessuali e asessuali, più le altre soggettività sessuali o di genere che stanno strette in queste definizioni).

Forti con i deboli, deboli con i forti

Era meno scontato, invece, che nel giro di pochi mesi dall’insediamento di questo governo si assistesse a una tale potenza di fuoco contro le persone più fragili, le bambine e i bambini. Così le parole crudeli del Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi a fronte della strage di bambini di Cutro ( “La disperazione non può mai giustificare viaggi che mettono a rischio i figli”) e così, sempre dallo stesso dicastero, la circolare che nel gennaio scorso ha intimato ai prefetti di vigilare sui sindaci che registrano all’anagrafe bambini come figli di entrambe le loro mamme o i loro papà, costringendo al dietro front il sindaco di Milano Beppe Sala.

È in questa scia escludente e conservatrice che è arrivata la risoluzione della Commissione politiche europee del Senato che ha bocciato preventivamente la proposta di regolamento della Commissione europea sul certificato europeo di filiazione. Si è anticipata così la posizione dell’Italia che si appresta a bocciare la proposta in seno al Consiglio europeo, insieme ad altri governi apertamente omofobi come quelli di Polonia e Ungheria, impedendo così la necessaria unanimità richiesta per l’approvazione del testo.

Il certificato europeo di filiazione sancisce un diritto

Eppure il regolamento proposto non inserisce nessuna eclatante novità giuridica all’interno della normativa europea, ma sistematizza alcuni principi che sono già parte viva del diritto comunitario: il principio della libera circolazione, quello all’identità personale, quello alla vita familiare. Al di là delle argomentazioni false e fuorvianti dei senatori di maggioranza, infatti, il certificato europeo si limita a garantire, con alcuni limiti, a bambini e bambine di tutti gli stati membri che i diritti familiari acquisiti nel loro paese possano essere riconosciuti in caso di trasferimento in un altro paese UE. Si metterebbe così fine a quell’esperienza traumatica per cui attraversando la frontiera, ormai virtuale, fra uno stato dell’Unione e un altro quei bambini e quelle bambine, perdono improvvisamente uno dei due genitori, ricacciato nel ruolo di estraneo senza alcun legame giuridico con i propri figli.

Questa misura non aggiungerebbe tutele alle famiglie omogenitoriali italiane, che scontano un’arretratezza di diritti rispetto al resto dell’Europa, ma la darebbe a chi, da paesi più tutelanti, fosse costretto a recarsi in quelle zone d’Europa (Ungheria, Polonia, Italia, Lituania) in cui le famiglie arcobaleno sono ancora considerate di serie b sul piano giuridico. Una partita tutta ideologica, quella di Giorgia Meloni, che tocca però la carne viva di relazioni familiari e di amore, negandone la realtà perché in contrasto con l’etica reazionaria e anacronistica del governo in carica. Perché disturba tanto la serenità di quelle famiglie, di quegli affetti? E siamo solo all’inizio.