Mattarella, Narciso e il rifiuto dell’altro

Per inquadrare le difficoltà in cui si imbattono oggi numerosi paesi europei, e anche quale monito rivolto agli esponenti del governo italiano, il Presidente Mattarella ha citato il mito di Eco e Narciso. Il riferimento all’episodio descritto nelle “Metamorfosi” di Ovidio ha suscitato imbarazzo in alcuni commentatori, spiazzati da una citazione inattesa, alimentando anche una velata polemica riguardante la pertinenza di un accostamento apparso a molti azzardato o addirittura fuorviante.

E’ vero piuttosto il contrario. Scegliendo Narciso quale immagine più appropriata per parlare dell’attualità, il Capo dello stato ha compiuto una duplice operazione positiva. Da un lato, infatti, ha introdotto nel dibattito politico in corso una ventata di aria diversa dalla stucchevole ripetitività di tanti interventi, anchilosati in formule sempre meno espressive. Dall’altro lato, non importa se preterintenzionalmente, ha proposto un’interpretazione del mito sottratta alle semplificazioni fuorvianti ancor oggi largamente diffuse.

Eco e Narciso di John William Waterhouse

Nel racconto ovidiano, infatti, il rapporto fra Narciso e Eco assume caratteri paradigmatici della difficoltà di istituire una comunicazione bilaterale efficace. Il giovane, la cui straordinaria bellezza è all’origine dell’innamoramento che egli accende in chiunque con lui entri in contatto, è infatti simbolo di una identità incapace di concepire l’altro, se non come proiezione di se stesso. Per parte sua, la ninfa è testimonianza dei limiti di una alterità priva di una sua peculiare identità.

L’incontro fra i due assume con ciò il carattere di una relazione asimmetrica: una identità sigillata in se stessa, e una alterità mancante di identità. Di qui, l’impossibilità di una qualunque forma di comunicazione. Di qui, l’esito tragico per entrambi i protagonisti. Narciso, trasformato in un fiore di delicata, quanto effimera, bellezza. Eco ridotta ad una roccia, in grado solamente di replicare suoni e parole. Un esempio – fra i molti – di una caratteristica della maggior parte delle numerose “storie d’amore” ricorrenti nella tradizione culturale dell’Occidente: storie di fallimenti e naufragi, di incontri mancati e di corrispondenze impossibili. Quasi a dire, nel loro insieme, che mai eros potrà davvero essere scisso da thanatos. E che la condizione umana resta inesorabilmente condannata ad una prospettiva di incompletezza.