La poesia in equilibrio sul vuoto
oltre il baratro senza desideri
Loro tornano / e noi ce ne andiamo / tutto è equilibrio / di tutto e vuoto // ma tutto poi tornerà / come prima / dimenticheremo / tutto / noi, loro, il vuoto / saranno / frantumi di luci / di un mondo nuovo.
La poesia di Maria Zanolli (La misura del vuoto, L’erudita Ed.) ci obbliga a fare i conti con i processi derivati dall’assenza: tema oggi purtroppo quotidiano, ma non strettamente legato alla pandemia. Nel caso dell’autrice si sviluppa una componente affettiva e complessiva, si ricordano i luoghi e gli oggetti come già accade per altri grandi autori del Secondo Novecento, da Maurizio Cucchi a Milo De Angelis. In generale e per traslazione questi testi ci ricordano che ogni assenza porta a un lutto, un trauma, e che questo accade su molte tematiche, senza per forza fossilizzarci solo sul Covid.
L’emergenza dei malati oncologici è tema ricorrente in queste settimane, come già su queste stesse pagine parlando della poesia di Umberto Piersanti si era posta attenzione sulle vicende delle persone autistiche. Una cura insomma non deve escludere l’altra, una frantumazione, per usare un termine della Zanolli, non può mettere in ombra altri soggetti. Pazienti geriatrici, malattie neurologiche o autoimmuni, fragilità psichiche fanno parte di tutte quelle categorie da seguire in maniera attenta e costante, soprattutto se l’alternativa è un vuoto all’interno di una società che mostra sempre più i limiti di una azione fortemente legata all’emergenza.
dire addio / senza voce / come un fuoco / nel buio / il travaglio del cielo / una stella che muore
Agire su una emergenza non significa dimenticare le altre, ogni uomo ha lo stesso diritto a ricevere una parola di vicinanza e di umanità. Anche questo è un gesto rivoluzionario oggi, quasi sorprendente. Ognuno di noi sta vivendo in totale isolamento la propria malattia, le proprie assenze, le proprie privazioni di libertà. Recuperare una identità collettiva diventa essenziale per aprire presto nuovi orizzonti nelle nostre comunità.
Nel suo libro, per traslazione, Maria Zanolli si muove proprio in questa direzione, cerca una cura universale, una cura umana, ancora prima che rispetto alla malattia. La pandemia ci sta ammalando di qualcosa di ulteriore, qualcosa per cui sicuramente non c’è modo di vaccinarsi, disinteresse, disimpegno, nichilismo.
Così è chi si ammala a risultare sconfitto, sono i perdenti a finire nel fango e nella polvere, come sempre, ma oggi con molte meno possibilità di riscatto. Può una società basarsi solo sui sopravvissuti o lo scenario che si propone finisce per essere apocalittico ?
Stare fermi / farsi minimi / sopravvivere / in una tazza di caffè.
Annullare qualsiasi forma di desiderio o di speranza, qualsiasi possibilità di uscita dalla contingenza finisce per rivelarsi come il peggiore dei baratri. Per questo l’emergenza va affrontata, ma con occhi diversi, collettivi, umani, per questo c’è bisogno di un nuovo approccio per sfuggire dall’immobilismo, dalla paura. Ce lo chiede una società che non potrà cadere all’infinito nella deflazione economica e umana, che a un certo punto deciderà di rialzarsi per non implodere.
Ma per farlo il primo segnale necessario è quello della dignità, a tutti i livelli: verso i malati innanzitutto, verso i tutti i malati, per tornare a cure in ogni ambito eque. Ma alla dignità dei malati va aggiunta la dignità di tutte le persone sofferenti, anche per motivi lavorativi o affettivi.
Dire poco / con poca voce / con pochi gesti / affondare lo sguardo / nel vuoto / respirare appena / per respirare / fare casa / al soffio / da cui / sei nato.
Maria Zanolli ci racconta questa dignità con fermezza, e da questa fermezza, non arida ma umana dobbiamo ripartire. Dobbiamo trovare una casa, non un luogo dove rinchiuderci per potere urlare dal balcone alla luna frasi scomposte, ma un luogo dove potere realmente abitare, abitare per vivere e non per sopravvivere come se una eterna attesa ben oltre tutte quello che ci sta accadendo ci avesse sorpreso, totalmente impreparati.
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