“Magia” dell’editore Romeo: torna l’Unità ma senza i suoi lavoratori

L’annuncio della comparsa in edicola (e oggi si deve dire anche “on line”) di un nuovo giornale lo si coglie sempre con grande piacere, perché i giornali sono il segno della vitalità di un paese e della sua democrazia. Non sempre ovviamente: non faccio nomi, ma mi devo chiedere e chiedo che rapporto abbiano certi fogli che pure compaiono ogni sera nella varie rassegne stampa televisive con la democrazia.

Il piacere è ancora più grande per noi quando il “nuovo giornale” reca il nome del centenario giornale che nel 1924 fondò Antonio Gramsci. Non si può ancora sapere quale linea di continuità potrà manifestare il “nuovo giornale” rispetto all’Unità, che il fondatore del Pci volle “giornale di sinistra, della sinistra operaia, rimasta fedele al programma e alla lotta della classe operaia, che pubblicherà gli atti e le discussioni del nostro partito, come farà possibilmente anche per gli atti e le discussioni degli anarchici, dei repubblicani, dei sindacalisti e dirà il suo giudizio con tono disinteressato…”.

La direzione affidata a Piero Sansonetti

Enrico Berlinguer e l'Unita allo sciopero generale del 1984
Enrico Berlinguer e l’Unita allo sciopero generale del 1984

Il direttore della nuova Unità, che ricomparirà il 18 aprile, sarà Piero Sansonetti, che della vecchia Unità fu per moltissimi anni redattore, capocronista, caporedattore, vicedirettore, condirettore, autore del celeberrimo titolo di prima pagina “Scusaci principessa” (dedicato a Lady Diana, nel giorno della sua morte), come se avessimo qualcosa da farci perdonare, e che poi, chiusa quella pratica, diresse altre testate varie e che adesso dirige il Riformista. Un lunga esperienza dunque, rafforzata da quella che si misura e si somma, frequentando gli studi televisivi nei più visti talk show.

L’Unità, dobbiamo ricordarlo, chiuse nel 2017. “Chiuse” sembrerebbe termine improprio, se si volesse riferire la realtà dei fatti: verrebbe da scrivere “assassinata” quando ancora, dopo periglioso zig zag tra un direttore e l’altro, vendeva una decina di migliaia di copie (quanto non arriva a vendere oggi la maggior parte dei giornali italiani), all’epoca di Matteo Renzi e dell’editore Pessina, imprenditore del calcestruzzo tra i più ricchi d’Italia e socio di maggioranza con il Pd in minoranza.

Evidentemente tutti guardavano altrove: Pessina al cemento, il partito non si sa a che, visto che privarsi di una voce, dell’unica voce, non poteva di certo rappresentare in politica una bella idea. Il Pd ha proseguito sulla stessa strada, continuando ad ignorare colpevolmente la sua stessa storia, il giornale (la testata sarebbe sovra vissuta fino alla dichiarazione di fallimento), che lo aveva rappresentato, che ne aveva sostenuto le battaglie e che evidentemente ora considerava inutile, e quanti, giornalisti e poligrafici, s’erano ritrovati in mezzo alla strada, inutili pure loro, malgrado la loro professionalità. Licenziati, dopo il fallimento, dal nuovo editore, Alfredo Romeo, avvocato, immobiliarista, assolto dopo un iter giudiziario durato cinque anni dalla accusa di corruzione, una questione di appalti: “il fatto non sussiste” sentenziarono i giudici, una questione che fu oggetto però di un’aspra polemica tra lo stesso Sansonetti e Marco Travaglio, animatore della campagna contro Romeo.

Il Riformista si trasforma in l’Unità

Piero Sansonetti (Di Sannita – Opera propria https://commons.wikimedia.org)

La fine, nell’ormai lontano 2017, dell’Unità rappresentò la fine della storia gloriosa di un grande giornale, al quale era toccata la clandestinità durante il fascismo, che non aveva mai taciuto, per difendere il quale molti erano finiti nei campi di concentramento nazisti, che nel dopoguerra aveva toccato diffusione milionarie, che era diventato tribuna di politica e di cultura in tutti i campi.

Come riprenderà, lo vedremo. Intanto si sono viste prove grafiche, che rispecchiano, mi pare, la grafica del Riformista. Sarà questa uniformità di immagine a spiegare la scelta di Sansonetti: una redazione, quella appunto del Riformista, per produrre l’Unità. Come dire, in sintesi: una per due. Una cosa però non mi è chiara: resterà in piedi il Riformista? Il comitato di redazione, a nome degli ex dell’Unità, risponde che semplicemente “il Riformista cambia nome e diventa Unità”.

Così gli ex dell’Unità, rimasti in strada, dopo anni di lotte, resteranno in strada: neanche una promessa, neanche per ora uno spiraglio, neppure il riconoscimento, neppure un piccolo segno di gratitudine. Il sindacato dei giornalisti nella nuova gestione di Alessandra Costante è intervenuto denunciando la “speculazione editoriale” dell’operazione. Bisognerà valutare ora se ci sono le condizioni per far valere un principio, “sancito da sentenze che fanno giurisprudenza”, come ricorda il cdr: “La testata sono anche i suoi lavoratori. Un legame indissolubile”. Ci sarà un giudice che prenderà in considerazione questa ipotesi?

Mai la nascita o la rinascita di un quotidiano s’erano accompagnati a tante note dolenti. La responsabilità è dell’editore e del suo direttore. Ma le “note dolenti” sono un’ulteriore prova del disastro che sta vivendo il sistema della informazione e della comunicazione in Italia. Due o tre numeri, per intenderci.

Le copie dei giornali, comprese quelle online, vendute in Italia sono scese a un milione, mentre nel 2007 erano poco più di sei milioni e nel 2019 (data del precedente congresso) si era sprofondati a due milioni e mezzo. Le vendite sono “un poco” riprese durante i mondiali di calcio: ma non si possono organizzare mondiali tutti gli anni. Intanto si sommano le crisi, le richieste di tagli, le svendite a perdere: dal gruppo Gedi, che potrebbe cedere pure Repubblica, ai periodici di Belpietro. Con una conseguenza: lasceremo spazio all’algoritmo.

La crisi dei giornali

Cito infine dal Rapporto sulla Comunicazione del Censis: “Oggi il quotidiano come organizzatore dell’esperienza sociale dei giovani è già estinto. Legge quotidiani con regolarità a malapena il 5 per cento dei giovani fra i 14 e i 29 anni. C’è un 95 per cento che non li usa. Ma fra i 45 e i 64 anni non cambia granché: soltanto l’8,8 per cento dei lettori fa uso abituale del quotidiano”. In questo quadro il selvaggio modello Romeo/Sansonetti trova la sua spiegazione.

“Che fare?” allora: l’interrogativo dovremmo rivolgerlo alla politica, perché l’orizzonte che incombe a tinte fosche è delle grandi piattaforme, delle nuove realtà, nate negli Usa (e aiutate per nascere da tante misure economiche) per favorire l’informazione e che sono diventate potenze globali in grado per vari canali di diffondere disinformazione, arma letale e a basso costo contro la democrazia, come dimostrano tante storie dei nostri tempi, dalla Russia di Putin al Brasile di Bolsonaro. Per questo – un paradosso – un piccolo giornale dalla forte impronta politica e culturale, un giornale capace di informare (in-formare, scriveva Gramsci, ricordando il dovere della “formazione”), contro il disorientamento dei tempi, contro l’effluvio di falsità e di propaganda, contro la dozzinale rappresentazione della vita, una ragione l’avrebbe più che mai.

 

Il comunicato del Comitato di redazione de l’Unità

Il 18 aprile il Riformista cambia nome e diventa l’Unità

Il 18 aprile l’Unità tornerà in edicola. Ma senza le giornaliste e i giornalisti che la storica testata della sinistra hanno difeso e fatto vivere anche negli anni bui e dolorosi della sua chiusura. In questo nuovo progetto editoriale noi, lavoratori dell’Unità licenziati nei giorni scorsi dal curatore fallimentare, semplicemente non esistiamo. Cancellati.

Il direttore designato Piero Sansonetti dirigerà un giornale realizzato, sia nella parte cartacea che in quella online, dai redattori de Il Riformista.

I giornalisti e i poligrafici dell’Unità non saranno della partita. Viene, infatti, ignorata una questione cruciale, sancita da sentenze che fanno giurisprudenza: la testata sono anche i suoi lavoratori. Un legame indissolubile.
Il 18 aprile semplicemente Il Riformista cambierà nome e si chiamerà l’Unità. Questo è il progetto, sicuramente inedito.

Siamo di fronte a un caso mai contemplato nel mondo del lavoro e che, soprattutto in ambito editoriale, può aprire scenari con esiti drammatici. Lo ribadiamo al direttore Sansonetti e all’editore Romeo: la testata sono anche i lavoratori. Un concetto tanto più vero nel caso dell’Unità, per la storia e il ruolo del quotidiano fondato da Antonio Gramsci, ma anche per l’abnegazione e i sacrifici con cui noi giornalisti e poligrafici ci siamo battuti per tenere in vita il giornale, unici, assieme alla Federazione nazionale della stampa e alle associazioni regionali, a denunciare la vivisezione della testata e dei suoi archivi. Siamo stati gli unici a pagarne le conseguenze.

Il 3 giugno 2017 l’Unità è stata chiusa per le scellerate scelte dell’editore Pessina, nel silenzio complice del Partito Democratico che ne deteneva una quota e alla quale ha poi rinunciato senza darne neanche comunicazione al Cdr. Nel frattempo – parliamo di un arco di tempo lungo 6 anni – si sono perse le tracce dell’Archivio storico e di quello Fotografico, patrimonio di questo Paese che, grazie alla nostra collaborazione e al nostro impegno, nei mesi scorsi sono stati indicati alla curatela fallimentare e ritrovati. Apprendiamo ora che anche l’archivio online è stato ceduto con la testata e appartiene al nuovo editore.

Non è una bella storia quella che raccontiamo e ai responsabili vecchi e nuovi diciamo un forte, corale “NO”. Non esiste spazzare via un intero corpo redazionale, parte indissolubile di un giornale che ha parlato sempre alla sinistra, che ha dato voce alle sue istanze. E tutto questo proprio ora con un governo di destra così aggressivo nei confronti dei fragili. Scusaci Sansonetti (cit) ma proprio non va. E lo diciamo a voce alta, senza paura, con la schiena dritta che l’Unità ci ha insegnato ad avere.

Il Cdr
Le redattrici e i redattori de l’Unità fondata da Antonio Gramsci

Roma, 10 marzo 2023