Macron, sconfitta
di misura. A sinistra
vincono i verdi

24 ore dopo la chiusura dei seggi è possibile compiere una prima analisi del risultato delle voto francese. I risultati definitivi comunicati lunedì mattina dal Ministero degli Interni hanno confermato la vittoria del partito Rassemblement national diretto da Marine Le Pen, il quale ha ottenuto lo 0,9% di voti in più rispetto alla lista LREM-MoDem sostenuta dal presidente della Repubblica Emmanuel Macron. Più precisamente il 23,21% contro il 22,41%, risultati che permettono di eleggere, per il momento, rispettivamente 22 e 21 deputati. Destinati a diventare 23 per entrambi i partiti dopo l’uscita definitiva del Regno Unito dall’Unione europea.


Si tratta, dunque, di una vittoria di stretta misura (205 mila e 213 voti reali di differenza), la quale comporta, nondimeno, molteplici risvolti politici. Il partito di Marine Le Pen conferma per l’ennesima volta la sua forza elettorale. Nel 2014, l‘allora Front national aveva già vinto le elezioni europee con il 24% dei voti e nel 2017 era arrivato al secondo posto al primo turrno delle presidenziali con il 21, 3% (ma il tasso di partecipazione al voto era stato del 71,77%). Quest’anno l’affluenza alle urne è stata del 50,12%, nettamente superiore al 42,43% di cinque anni fa. Risultati, dunque, costanti che assegnano a questo partito un ruolo centrale nel panorama politico francese. Un partito che si è affermato, negli ultimi due anni, come la forza di opposizione più forte e l’unica capace di trarre un vantaggio elettorale dal controverso movimento dei «gilets jaunes». Le Rassemblement national ha confermato, se non rafforzato, i suoi bastioni elettorali nel Sud-Est della Francia e in generale nelle zone rurali, dove si è registrata una significativa crescita della partecipazione al voto rispetto al 2014. La parola d’ordine «uscire dall’euro» è stata sostituita da quella «per un’Europa diversa», in piena sintonia con i contenuti della campagna elettorale di Matteo Salvini e della Lega in Italia e in difesa degli interessi della Francia profonda, lontana dai gradi centri urbani, spaventata dai processi di globalizzazione e colpita dalla crisi economica internazionale.
E’ però evidente che se si fosse trattato di un voto a doppio turno, ancora una volta Marine Le Pen e il suo partito si sarebbero ritrovati isolati e molto difficilmente avrebbero potuto sperare in una vittoria finale. Questo elemento di debolezza non è stato risolto in questi anni; per cercare una soluzione l’estrema destra punta sia sul consolidamento definitivo di un nuovo sistema politico fondato sulla contrapposizione tra Le Pen e Macron, in nome del conflitto politico tra «sovranisti» e «europeisti», sia sulla previsione che le politiche economiche del presidente della Repubblica e i vincoli internazionali accentuino le inegalità e le divisioni della società francese, creando un sentimento di paura e sfiducia di cui diventare il rappresentante politico.


I progetti del gruppo dirigente del Rassemblement national s’intrecciano dunque con la strategia di Emmanuel Macron. Dopo avere temuto una sconfitta di due o tre punti di percentuale le fonti dell’Eliseo in queste ore insistono su un «risultato onorevole», un sostanziale pareggio in un’elezione di “metà mandato”, la quale non è mai stata facile per nessuno dei precedenti presidenti della Repubblica. Sottovalutare i segnali di allarme sarebbe però un grave errore. Una questione è centrale: quali sono le possibilità di estensione e di ulteriore consolidamento del progetto che ha dato origine al nuovo partito di Macron? Nel corso di questi due anni è emersa fondamentalmente un’identità conservatrice: tutti i più importanti ministeri sono stati affidati a personalità che provenivano dalla destra repubblicana, a cominciare dal primo ministro. L’unico esponente ex-socialista di rilievo Gérard Collomb ha lasciato il Ministero degli Interni per tornare a fare a tempo pieno il sindaco di Lione e le dimissioni polemiche del Ministro dell’Ecologia Nicolas Hulot sulla reale volontà di realizzare «una svolta ecologica» hanno rappresentato un grave indebolimento dell’esecutivo.
Inoltre, Macron pur disponendo di una larghissima maggioranza parlamentare, ha deciso di far approvare per decreto, senza una vera discussione parlamentare, le leggi più importanti, comportandosi in maniera autoritaria sul piano istituzionale e rispondendo in maniera arrogante e con clamorose cadute di stile alle critiche che gli venivano rivolte durante le manifestazioni pubbliche. Nei prossimi mesi si dovranno discutere riforme importanti e delicate come quella delle pensioni, che saranno un banco di prova importante. Non vi è dubbio, infatti, che questa politica di destra ha di fatto indebolito anche le sue posizioni europeiste. Sarà capace Macron a conciliare l’europeismo con una politica economica-sociale diversa? Se non ci riuscisse la delusione dell’opinione rischia di avere effetti negativi anche fuori della Francia e di favorire il Rassemblement national.
La cosiddetta destra repubblicana esce ulteriormente sconfitta e indebolita dalla competizione elettorale, la svolta a destra per rincorrere la Le Pen non ha dato i suoi frutti e quest’area politica rischia concretamente di frantumarsi tra chi aderirà al progetto di Macron e chi invece deciderà di rompere definitivamente il tabù di un’alleanza con l’estrema destra.

A sinistra i vincitori sono i Verdi, i quali ottengono il 12,8% ma che soprattutto sono stati votati dal 30% dei votanti con meno di 34 anni. Immediatamente corteggiati – anche pensando agli equilibri in Europa – dal partito di Macron, gli ecologisti francesi sono ora chiamati a gestire l’ottimo risultato elettorale compiendo delle scelte politiche fondamentali : o insistere sulla prospettiva di un’identità «oltre la sinistra e la destra», oppure coniugare ecologia e temi sociali in dialogo con le altre forze di sinistra. La scelta di rifiutare una lista unica si è rivelata vincente, ma alle prossime elezioni amministrative e poi nel 2022 alle presidenzali il tema delle alleanze diventerà decisivo.
I socialisti riescono a superere la barriera del 5% e a eleggere 5 deputati con il 6,19%, poco distante dal partito guidato da Jean-Luc Mélenchon La France insoumise (6,31%), lontanissimo dal 19,5% ottenuto al primo turno delle presidenziali del 2017 e che ha pagato le sue posizioni anti-europeiste. In generale i partiti alla sinistra del partito di Macron ottengono più del 30% dei voti, ma una loro unità d’azione è improbabile. Una divisione che rischierebbe di diventare pericolosa se il progetto del presidente della Repubblica dovesse fallire malamente lasciando il campo aperto all’estrema destra.