Macron e la piazza della protesta: è anche un problema di democrazia
Le cifre sonio chiare : anche il Ministero degli Interni francese, sempre prudente, parla di circa un milione e trecentomila partecipanti alle manifestazioni; i sindacati , dal canto loro, di due milioni e comunque tutti riconoscono una crescita della partecipazione ai cortei rispetto al 19 gennaio scorso.
La protesta contro la riforma del sistema pensionistico sta quindi ampliandosi. I sondaggi dei giorni scorsi rivelavano come anche le persone più anziane, coloro che sono già in pensione e che rappresentano il bacino elettorale più significativo di Emmanuel Macron, stanno progressivamente cambiando il loro giudizio, in una sorta di solidarietà tra generazioni verso i loro figli o nipoti.
Partecipazione in crescita
Come il 19 gennaio le manifestazioni, promosse da tutti i sindacati, si sono svolte sull’insieme del territorio nazionale e ovunque è stata registrata una partecipazione in crescita. Se, in alcuni settori del mondo del lavoro, il numero di scioperanti è stato leggermente inferiore, anche perchè non è semplice di fronte all’aumento del costo della vita rinunciare a due giorni di stipendio cosi ravvicinati, nelle strade e nelle piazze si sono viste appunto più persone anziane e soprattutto più giovani, sia studenti liceali sia universitari. La sensazione immediata, osservando i cortei, era quella che si tratti di una protesta capace di coinvolgere l’insieme della società francese. Un’adesione cosi folta e rappresentativa delle diverse età, dei diversi lavori, delle molteplici situazioni di disagio e povertà, è il segnale chiaro un’insoddisfazione verso il presente e di un timore verso il futuro che va oltre la sola questione delle pensioni.
Prima di tutto, la convinzione che questa riforma non sarà l’ultima e che essa rientri in una tendenza più generale di peggioramento delle condizioni di vità e della qualità dei servizi pubblici. Da questo punto di vista, la comunicazione di Macron e del governo è stata alquanto inefficace e confusa: in un primo momento è stata presentata come una riforma necessaria per risparmiare soldi da investire in aiuti alle imprese per accompagnare la transizione ecologica. In seguito, come una riforma “giusta” e necessaria a garantire la tenuta del sistema pensionistico. Ma di fronte alle prime proteste alcuni ministri hanno utilizzato toni più duri, denunciando coloro “che non hanno capito la necessità di sacrifici e di lavorare più a lungo”, sino alle accuse a minoranze che vorrebbero destabilizzare il paese o l’invito paternalistico a non turbare nelle prossime settimane le vacanze d’inverno delle scuole e “il desiderio dei francesi di riposarsi”.
In realtà, molti studi indipendenti hanno dimostrato come il sistema pensionistico non sia in pericolo e che la riforma risponda a altre esigenze: quella di rispettare, da un lato, il piano di riduzione della spesa pubblica di circa il 0,8% all’anno e quella, dall’altro, di adeguarsi alle attese dei mercati finanziari.
Macron dopo la protesta dei “gilets jaunes” aveva promesso che non avrebbe ripetuto l’errore di lanciare una riforma impegnativa senza prima spiegarla e discuterla con i francesi. Promessa mancata e il presidente francese sembra, al contrario, determinato ad andare avanti malgrado che anche all’interno della maggioranza parlamentare si alzino le prime critiche e con esse il rischio concreto di non avere i voti necessari per approvarla. A meno di ricorrere agli articoli della Costituzione che permettono di approvare una legge senza discussione e senza tenere conto degli emendamenti. Una vera e propria prova di forza.
Il rapporto con la Germania
“Siamo qui perché è l’unico modo per essere ascoltati”: era la frase più ripetuta ieri durante lo sciopero. E se il governo non ascoltasse e decidesse di fare approvare una riforma ritenuta dalla maggioranza della popolazione ingiusta? Ci troveremmo di fronte a un nuovo capitolo della crisi della democrazia rappresentativa in un contesto europeo e mondiale alquanto complicato.
E quali sarebbero le conseguenze di un tal esito sul seguito della presidenza Macron sino alle prossime elezioni? La crisi interna si aggiungerebbe alle difficoltà internazionali: il riarmo militare della Germania, infatti, nel quadro della guerra in Ucraina sta determinando un nuovo squilibrio all’interno dell’Unione Europea. La Germania, oltre a consolidare il proprio predominio economico, potrebbe rapidamente diventare anche il paese più importante dal punto di vista politico, scavalcando la Francia. E, come ripete spesso Romano Prodi, anche chi ammira la democrazia tedesca non puo’ non essere allarmato dalla crisi dell’equilibrio franco-tedesco. Sempre Prodi sostiene che la Francia per mantenere il suo ruolo politico preminente dovrebbe avere il coraggio di condividere con l’Europa il suo seggio nel Consiglio di sicurezza all’ONU e anche la sua arma nucleare. Ipotesi sino ad ora rifiutata da tutti i dirigenti francesi.
Ma chi come Macron si era presentato come l’ incarnazione di una novità politica capace di superare la contrapposizione destra e sinistra, di prosciugare i voti dell’estrema destra e di rilanciare il progetto europeo, potrebbe accettare invece di avere diviso la società francese, di constatare come il pericolo dell’estrema destra si sia rafforzato e di subire senza sapere reagire la crisi dell’Unione Europea di fronte alle altre grandi potenze mondiali?
Il 7 e l’11 febbraio sono le prossime date della protesta decise dai sindacati. Intanto il dibattito parlamentare sarà cominciato. Se non ci saranno novità la protesta non potrà che diventare ancora più dura. Ma l’evolversi del conflitto sociale in Francia non riguarderà solo i francesi e non sarà comprensibile solo analizzando le vicende interne della Francia. E’ un conflitto figlio dei nostri tempi e delle difficoltà di tenuta dellle nostre democrazie e, da questo punto di vista, riguarda tutti noi.
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