Ma quale “vendetta”: gli oscuri moventi del killer Concutelli

Se ne è andato lasciando, com’era prevedibile, una lunga scia di interrogativi ma anche qualche certezza. Pierluigi Concutelli, 79 anni,  “Comandante” come lo chiamavano i seguaci dell’organizzazione neofascista Ordine Nuovo, killer nero fuori e dentro le carceri, come lo descrivono le cronache degli anni Settanta e Ottanta, è morto due giorni fa, a casa sua, dove si trovava per motivi di salute nonostante tre ergastoli da scontare. Lo si potrebbe definire l’eversore dei due mondi, vista la traiettoria esistenziale che incrocia terrorismo neofascista e piani alti della criminalità, attività politica degli esordi nel Fuan-Msi e militanza clandestina in ON.  Ha sempre travestito da vendette i suoi crimini, ma i suoi racconti, compreso il libro autobiografico “L’uomo nero”, sono una coperta molto corta, sotto cui si intravvedono trame che investigatori e magistratura hanno già cominciato a decifrare.

Pier Luigi Concutelli

Nel giro di sei anni, Concutelli ha ucciso il magistrato Vittorio Occorsio, ufficialmente considerato da ON responsabile della sentenza su cui si basò il decreto di scioglimento dell’ organizzazione che aveva potenti entrature negli apparati dello Stato; Ermanno Buzzi, condannato in primo grado per la strage di Brescia (28 maggio 1974, 8 morti 102 feriti), strangolato durante l’ora d’aria coi lacci delle scarpe perché aveva dato segni di cedimento; stesso movente per Carmine Palladino, militante di Avanguardia Nazionale,  di cui si era intuita la volontà di collaborare con la giustizia sulla strage di Bologna.

Un assassino metodico

Ci sono molte ragioni per credere che Concutelli fosse un killer metodico e, dal suo punto di vista, molto tempestivo, ma non un vendicatore.  Vittorio Occorsio, assassinato il 10 luglio 1976, la condanna di ON l’aveva ottenuta quattro anni prima: una vendetta, dopo tanto tempo non aveva senso. Il magistrato, poco prima di essere ucciso, si stava occupando di trasferimenti di denaro a favore dell’Ompam, organizzazione massonica al cui vertice si trovava Licio Gelli.

A colpire la sua attenzione era stata l’entità della somma trasferita, pari al riscatto richiesto da un’organizzazione dedita ai sequestri di persona, attività a cui lo stesso Concutelli non era estraneo: lo affermava, nel ’72, un rapporto di Giuseppe Peri, capo della Mobile di Marsala,  dimenticato anche per l’intervento di un procuratore con in tasca la tessera P2.  Oggi sappiamo, perché ce lo dissero numerosi pentiti, che tra eversione e criminalità  (in particolare la ‘ndrangheta)  esisteva  un patto di collaborazione riguardante anche i rapimenti e il riciclaggio del denaro da essi proveniente.

Buzzi, ben introdotto negli ambienti criminali e neofascisti bresciani, avrebbe, già negli anni 80, potuto inguaiare Ordine Nuovo e i suoi vertici. Responsabili della strage di piazza della Loggia, secondo sentenza ormai passata in giudicato, furono Carlo Maria Maggi, capo dell’organizzazione nel Triveneto, Marcello Soffiati e Carlo Digilio, entrambi ordinovisti e legati all’intelligence americana, Maurizio Tramonte, fonte Tritone del Sid (il Servizio segreto militare fino alla riforma del ’77), presente in piazza della Loggia nel momento in cui esplose la bomba.

Per meglio descrivere la figura di Carmine Palladino, assassinato nel 1982, bisogna usare il grandangolo, mettendo a fuoco lo sfondo su cui si muoveva il soggetto. Dietro la società Odal Prima, fondata da Palladino e suo fratello Roberto, c’era l’Ascofin, gestita dal faccendiere Francesco Pazienza, di cui per un certo periodo fu direttore generale il generale Giuseppe Santovito, piduista e capo del Sismi, il Servizio segreto militare. La Ascofin, che ufficialmente si occupava di import-export, era legata alla Sofint di Flavio Carboni, coinvolto come Pazienza nel crack del Banco Ambrosiano.

I legami di Avanguardia Nazionale

La Sofint era anche committente unica della Odal Prima, società di contabilità che praticamente fungeva da cassa per Avanguardia Nazionale, organizzazione neofascista legata all’Ufficio Affari Riservati e al suo capo, Federico Umberto D’Amato, anche lui piduista. Questo sintetico giro d’orizzonte rivela quanto Palladino potesse essere pericoloso per esecutori (alcuni elementi dei Nuclei Armati Rivoluzionari, responsabili della strage di Bologna, una formazione teoricamente spontaneista, teoricamente molto distante da Avanguardia Nazionale, furono visti dentro la sede della Odal) e mandanti dell’attentato più grave del dopoguerra italiano.

Licio Gelli

Per il depistaggio delle indagini sulla strage del 2 agosto sono stati condannati con sentenza definitiva, oltre a Licio Gelli e Francesco Pazienza, gli ufficiali del Sismi Musumeci e Belmonte. Verosimilmente allo stesso destino non avrebbe potuto sottrarsi il generale Santovito, morto prima di essere processato.

Sappiamo anche che dalle casse del Banco Ambrosiano provenivano i soldi, che stando a una sentenza ancora non definitiva, finirono, attraverso Licio Gelli, nelle tasche di depistatori ed esecutori della strage.

Palladino si trovava in una zona nevralgica del sistema politico-mafioso dominante in quegli anni. Un suo “pentimento” avrebbe potuto accelerare la macchina investigativa, anticipando di qualche lustro sentenze pronunciate di recente.

Ha scritto il giudice Giovanni Tamburino, già titolare delle indagini sull’organizzazione golpista Rosa dei Venti: “Gli omicidi politici non rispondono mai a una logica di vendetta. Essi guardano avanti. Ciò fu vero per Occorsio ed è vero per gli omicidi che hanno segnato l’Italia per decenni, inspiegabili se ci si ferma alle versioni degli autori identificati o si abbraccia la tesi della vendetta” (“Dietro tutte le trame”, 2022). Difficile trovare un epitaffio più efficace per Pierluigi Concutelli.