Ma la scuola
non può vendersi
ai giganti del web

Per la scuola a distanza, il ministero dell’istruzione ha dato indicazioni agli istituti attraverso circolare protocollata sulle piattaforme da usare. Quali? Colossi statunitensi della tecnologia: Google Suite, Office 365, WeSchool, Amazon. Perché? Per avere garanzie di affidabilità, probabilmente. Ma anche perché esse si sono offerte, almeno per ora, gratuitamente.
Non è una cosa da poco: una istituzione pubblica come la scuola ha utilizzato aziende private senza far certo troppe gare di appalto; multinazionali che, come è dichiarato nei loro statuti, hanno come principale obiettivo non certo la formazione, ma la raccolta di dati e comportamenti da rivendere o da usare per individuare gusti e orientamenti. E come fine ultimo quello di manipolarli in nome dell’aumento del proprio fatturato. Non è mai accaduto in una istituzione pubblica un evento così grave.
Si potrà dire che è una roba da poco e non c’erano altre alternative.

L’alternativa c’era

Falso. L’alternativa migliore era puntare su software liberi e non privati, che erano anche più sicuri e più collaborativi, cioè adatti alla formazione. Non si è fatto. Probabilmente perché sarebbero occorsi maggiori fondi, competenze, preparazione. Così molti dirigenti scolastici che preferivano l’utilizzo di piattaforme libere, alla fine sono stati caldamente invitati dal ministero a sottoscrivere, per le loro scuole e i loro docenti e studenti, licenze d’uso per i software di queste multinazionali private.
Si potrà dire che in fondo non si è trasgredita alcuna legge.
Ancora una volta: falso.
Il regolamento europeo sulla privacy per la protezione dei dati (Gdpr) è operativo in Italia dal maggio 2018 e vieta che le scuole facciano quello che hanno fatto. Che cosa si pensa di fare, ora? Aggiungere una clausola in cui si dirà che in situazioni di emergenza queste regole non valgono?

Questione di affidabilità

Queste multinazionali hanno giurato di tenere separati i dati europei da quelli degli altri. Ma ci si deve chiedere quali affidabilità reali abbiano dato al nostro governo multinazionali come Google che recentemente ha investito milioni di dollari sull’intelligenza artificiale per consentire alle macchine di “imparare” attraverso l’interazione con gli utenti, – profilandoli, come si dice, – cioè immagazzinando informazioni su di loro dal modo in cui si muovono in rete.
Quali garanzie ha avuto il nostro governo repubblicano da queste multinazionali private perché questo accada veramente? Come ha potuto incoraggiare tutto il mondo della scuola a vendere i dati di milioni di docenti e studenti e famiglie di studenti? E soprattutto: lo poteva fare?