Conte, dietro la caduta
non i suoi errori
ma un tribunale
Piove sul bagnato in casa 5 Stelle. Ma nuvole scure si addensano anche sotto il cielo della politica. Accade infatti che un tribunale di Napoli abbia sospeso le due delibere con cui nei mesi scorsi era stato modificato lo statuto pentastellato per eleggere Giuseppe Conte presidente del Movimento. I giudici hanno accolto in via cautelare il ricorso di alcuni attivisti, ravvisando “gravi vizi” nella votazione: in particolare sarebbe stato impedito il voto a circa un terzo degli iscritti, col conseguente mancato raggiungimento del quorum.
Naturalmente il procedimento farà il suo corso nei modi e nei tempi – tutt’altro che rassicuranti – della nostra giustizia. Ma gli effetti sono già clamorosi. Il primo riguarda il vertice 5 Stelle. Decade Conte e tornano in auge Vito Crimi e Beppe Grillo, in qualità di garante. Di per sé non sarebbe una grande notizia, in fondo in una situazione normale, basterebbe poco a rimediare all’errore o all’abuso – se di questo si tratta – e rivotare statuto e presidente. Ma la situazione in casa grillina è tutt’altro che normale. Da mesi è in corso una furibonda lotta interna, culminata nella rottura tra il suo leader (ex) Conte e il suo ministro più rappresentativo, Di Maio, durante la cosidetta “battaglia” del Quirinale.
In gioco c’è appunto la leadership reale dei 5 Stelle: un “trofeo” che col passare dei giorni vale peraltro sempre meno se è vero che il capitale elettorale del Movimento ammonta oggi, secondo tutti i sondaggi, a poco più del 10 per cento, ovvero appena un terzo del risultato raggiunto alle ultime consultazioni politiche. Si capirà presto chi potrà trarre profitto da questa situazione e se Conte, già leader parecchio azzoppato, finirà per eclissarsi. Del resto ci sono altre ragioni – tutte politiche – per dubitare dell’attuale leader, apparso più volte troppo ambiguo nella sua avventura politica. Così come è difficile dimenticare il curriculum tutt’altro che edificante del suo giovane sfidante: dall’annuncio della “sconfitta della povertà” al tentativo di impeachment del presidente Mattarella, dalla campagna contro gli esponenti Pd “ladri di bambini” al sostegno esibito ai gilet gialli, protagonisti di violente proteste in Francia (su quasi ogni episodio, poi Di Maio ha chiesto scusa, ma tant’è…). Insomma, se la vedano i 5 Stelle.
Quello che preoccupa di più è il nuovo colpo che nei fatti – indipendentemente dalla fondatezza del procedimento giudiziario – viene inferto alla politica e alla sua autonomia. Per limiti propri ma anche per pesanti condizionamenti di altri poteri, (quello mediatico-editoriale, quello economico, persino quello giudiziario) sono anni che ormai la politica ha quasi rinunciato a svolgere il suo ruolo, a far valere le decisioni, o a rivendicare l’antico primato.
Se l’anti-politica e il populismo hanno avuto origine altrove, sono proprio i partiti che li hanno alimentati. E per una coincidenza tutt’altro che casuale, questo è avvenuto proprio negli anni del boom penta-stellato. A Napoli, in fondo, c’è stato solo l’effetto-nemesi.
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