Lutero, i 500 anni della Riforma
e l’idea di eguaglianza

Il 2017 non è solo il centenario della Rivoluzione, ma anche della Riforma. Per la precisione il cinquecentenario di quella protestante. Per convenzione, il 31 ottobre del 1517 Lutero avrebbe affisso a Wittemberg le sue 95 tesi contro le indulgenze papali. Altre date sarebbero più adatte a marcare l’inizio dello scisma (quando per esempio nel 1520 Lutero bruciò la bolla papale che lo condannava), ma dobbiamo adattarci alle ricorrenze. Sfruttandole per utili riflessioni.


L’idea di non potersi salvare con mezzi umani ha significato, per il protestantesimo scandinavo, e per una società che vuole costruirsi più uguale, due potenziali spirituali: Per essere salvato devo sforzarmi in una condotta etica coerente col Vangelo. E constatare dolorosamente che non avrò mai la certezza di fare abbastanza. Solo la grazia può decidere. Ma non posso mai smettere questa rincorsa esistenziale. Alla fine della quale scopro facilmente di non potere giudicare nessuno. Dunque sforzo etico ed umiltà.

Un primo potenziale è che viene facilitata, rispetto ad altri contesti, una secolarizzazione solida ma non sfrenata: non amorale o individualistica. Inoltre le gerarchizzazioni sono più facilmente attaccabili, e le guerre religiose meno difendibili. Nei secoli fino all’800, nei paesi nordici, si protegge la propria ortodossia, il proprio rapporto Stato-Chiesa, ma tendendo meno all’intolleranza. La dottrina della grazia luterana facilita l’idea che, per quanto i credenti conducano una vita morale, non possono essere sicuri che più predestinati siano proprio loro e non altri. Così, la Riforma di Lutero come applicata nelle società nordiche è stato un fattore importante della evoluzione sociale e politica di Scandinavia e Finlandia.
Insomma, la concezione luterana di salvezza non può indurre nessuno a ritenersi migliore, e meritare la salvezza. Questo a differenza di quanto Weber (discutibilmente peraltro) afferma dello spirito del capitalismo olandese/anglosassone.

Il luteranesimo nordico, a parità di condizioni materiali (sempre quelle decisive), ha così facilitato l’idea di eguaglianza.  Ad un certo punto il “provare sempre ad essere etici” (incontrando il proprio limite e quindi il proprio bisogno di grazia) si è intrecciato ad una tendenza egualitaria più generale e socio-politica.


Si può impiegare la prova etica nell’esistenza occupandosi della creazione. Non per dirsi meritevoli, ma perché si è cristiani, e Dio ama la propria creazione. Per esempio puoi occuparti della società, dove vive il prossimo evangelico. Che tu lo conosca o meno. Che tu lo stimi o meno. Non è mai meno meritevole di te, comunque non puoi stabilirlo tu da cristiano. Non solo: siccome nessuno può supporsi tanto etico da amare abbastanza il suo prossimo, viene nel contesto protestante nordico facilitata l’idea di welfare. Infatti, come dice uno storico del welfare nordico: “mica andiamo in giro ad amarci l’un l’altro in continuazione”. Almeno come singoli, ma se ci mobilitiamo invece possiamo affermare l’eguaglianza, e per questa realizzare al meglio quanto possiamo con le nostre opere terrene: provare ad essere etici avendo cura della creazione. Da cui i grandi “movimenti popolari” nordici, già nel XIX secolo. Il più grande: quello operaio.

Ricordiamo che occorrono le giuste condizioni materiali (per esempio le giuste culture politiche e le necessità sociali) e che, date queste, il deposito luterano può non certo determinare, ma di sicuro facilitare l’eguaglianza rispetto ad altri contesti.

Si può allora indirizzare ricchezza dal consumo edonistico privato a quello pubblico e sociale. Facendo così molto meglio il bene della creazione, con un welfare vero, di quanto possa farlo la filantropia, e senza pensare di meritare nulla. Non a caso, K.K Steincke, grandissimo politico socialdemocratico degli anni 1930, proprio chiedendo nuovo aiuto ai movimenti cristiani, dileggiava la filantropia chiamandola “le dame col cappello”. C’era la grande depressione e la socialdemocrazia al governo (appunto: le giuste condizioni materiali), e il deposito luterano ha consentito di argomentare meglio la riforma della società. Che per i socialdemocratici era la riforma del capitalismo.

Di fronte a questo, colpisce come Weber scriva di uno spirito protestante e individualista del capitalismo senza mai occuparsi seriamente dei soli paesi del tutto protestanti: quelli nordici.

Certo, l’eredità della Riforma ha anche aspetti regressivi: diviene più facilmente reazionaria (nelle adatte condizioni materiali) se vista come replica del “patto degli eletti” Dio-Israele. Sia chiaro, tale patto (covenant per i puritani anglosassoni) non c’entra con la predestinazione: è imperscrutabile chi è salvato. Il problema però è che secondo certe correnti protestanti (non luterane però) intanto il popolo eletto deve militare per Dio.
Al contrario, per Lutero e i suoi la Scrittura ha già affermato tutto sulla nostra salvezza (in sostanza, ciò che abbiano ricordato sopra). Insomma, è illegittimo usarla per una mobilitazione o un regime teocratico. O come “destino manifesto” del dominio di certe nazioni. O come criterio del merito individualistico dei singoli.

Per i luterani nordici Dio vuole che governi il re. Oppure, oggi, il parlamento democratico, che infatti si è imposto con meno traumi che altrove. Mai la Chiesa può farsi Stato, né avere impatto politico. Tanto meno mediante gli “eletti” puritani: Calvino, o Savonarola che siano. Verso i predicatori carismatici puritani i luterani nordici nutrivano diffidenza maggiore che verso il papato (e si capisce).

Ma c’è anche una destra protestante nordica. Per costoro i precetti cristiani non sono universali, valgono in un preciso contesto nazionale. Il cristiano, per il teologo nazional populista Krarup, non ha obblighi di solidarietà o accoglienza al di fuori di ciò: Dio opera in precise comunità statuali e sociali, in questo caso luterane. Che non si sognano di fare guerre di religione (non si sentono elette), ma sono sicure che il terrorismo fondamentalista e l’immigrazione attacchino la specifica società cristiana nordica. Che per loro, grazie per esempio alla specifica divisione chiesa-Stato, ha pregi cui non vogliono rinunciare. L’aspetto peggiore è che ciò (volenti o nolenti) rafforza una interpretazione neo-liberale delle società nordiche: esse avrebbero dato il meglio solo perché omogenee e compatte. Trascorsa questa contingenza unica, il welfare andrebbe ridotto.

All’inverso, per la tradizione socialdemocratica (con contributo luterano progressivo dell’eguaglianza) è il modello sociale ad avere prodotto i benefici, e anche la compattezza sociale. Sebbene nemmeno la tradizione socialdemocratica, negli ultimi decenni, abbia affermato abbastanza questa visione progressiva si sé e del mondo.

Neoliberali e nazional-populisti hanno invece in comune il pensiero inverso: per loro è la compattezza e/o l’identità religiosa ad avere prodotto buoni risultati sociali. E va protetta, oppure va ridotto il welfare perché ormai irrealistico.

Insomma: quando 90 anni fa si presentarono le giuste condizioni materiali, la Riforma offrì un potenziale di eguaglianza attraverso la propria collaborazione al modello sociale. Anche il migliore potenziale religioso non basta. Ma certo i socialdemocratici nordici, oltre che bravi, furono facilitati da questo deposito spirituale.

Nell’ultimo ventennio invece è stato mobilitato un altro potenziale protestante. Quello protettivo, che peraltro sottovaluta la forza del modello sociale nordico. E quindi lo indebolisce. Un’interpretazione del luteranesimo discutibilissima, difensiva, pessimista. Regressiva per il modello sociale stesso.