Medio Oriente, l’attacco
di Trump è contro l’Iran
ma anche contro l’Europa

Ci sarà la guerra? La paura, dopo il colpo di testa di Donald Trump, si è diffusa per il mondo, alimentata da una pesantissima escalation verbale da parte degli iraniani e dall’annuncio delle partenze di nuovi contingenti americani per l’area calda: per ora nel Qatar, poi, forse, in Iraq. Stavolta anche i superalleati nel governo di Benjamin Netanyahu, dietro alla soddisfazione ufficiale espressa per l’uccisione del “pericolo numero uno” alla guida delle guardie della rivoluzione dell’arcinemico Iran, non nascondono la preoccupazione per la mossa avventata dell’uomo della Casa Bianca.

Il momento delicatissimo che vive Israele

Il missile che, sparato da un drone telecomandato da Washington, ha ucciso Qassem Soleimani e altri sette o otto maggiorenti sciiti iraniani e irakeni ha centrato i suoi obiettivi in un momento delicatissimo per Israele. Il leader ha vinto alla grande le primarie del Likud, ma pendono ancora sul suo capo le accuse di corruzione che ne hanno compromesso non solo l’onore, ma anche la forza politica di guida del paese. La situazione interna è spiacevolmente confusa e non sarebbe proprio il momento, per Israele, di pensare a un nuovo conflitto aperto. Ma è quello a cui dovrà prepararsi perché gli hezbollah sono appena al di là del confine con il Libano e le truppe internazionali di interdizione dell’ Unifil (tra cui il contingente italiano) non potranno fare molto se, come è abbastanza probabile, è da lì, o anche da lì, che partirà l’escalation di violenza che ormai tutti dànno per certa, anche a far la tara alle bellicose dichiarazioni dell’ayatollah Khamenei e di tutto il gruppo dirigente iraniano, nel seno del quale l’avventurismo dell’attuale amministrazione americana ha cancellato ogni velleità politica dell’ala più moderata che faceva capo al presidente della Repubblica Hassan Rouhani.

Netanyahu è rientrato precipitosamente dalla Grecia dov’era in visita e i media israeliani evocavano apertamente, ieri, l’ipotesi di una nuova invasione del Libano meridionale o di una campagna di bombardamenti a tappeto in tutto il paese in risposta alla vendetta che Hezbollah ha promesso e che potrebbe mettere in atto con una pioggia di missili o incursioni di kamikaze oltre il confine. È già accaduto in passato, ma stavolta gli effetti potrebbero essere ben più devastanti: il Libano è in una situazione di estrema conflittualità interna, sconquassato da massicce proteste popolari contro la corruzione, con molte centinaia di migliaia di profughi siriani senza risorse proprie in casa, un’economia allo stremo e il delicatissimo equilibrio di potere costruito negli anni tra i vari gruppi e le diverse religioni in una crisi prossima allo sfascio.

Il rischio di un’escalation di ritorsioni e controritorsioni

Il collasso del Libano potrebbe essere il primo drammatico capitolo della storia cominciata ieri mattina con il missile fatto cadere sulle auto che portavano Soleimani e il suo seguito. Ma non sarebbe certamente l’unico. L’escalation militare delle ritorsioni e delle controritorsioni, come avviene sempre e come puntualmente si è verificato pure stavolta, ha una sua logica che si autoalimenta e niente permette di escludere a priori uno scontro diretto tra le truppe americane e quelle iraniane, in Iraq, in Siria, nel Golfo Persico se non direttamente sul territorio dell’Iran. Questa possibile evoluzione della crisi nel senso dell’autoradicalizzazione spiega la grande preoccupazione che è stata segnalata, ieri, dagli esponenti democratici americani e che è presente sicuramente anche nelle file repubblicane, se non addirittura nel seno della stessa amministrazione. Non è chiaro quando e con chi il presidente si sia consultato prima di dare l’ordine di “far fuori” Soleimani e, pur se si sono attivate fonti della Casa Bianca per accreditare l’ipotesi che l’operazione fosse stata in preparazione da giorni, resta il tremendo sospetto che si sia trattato di una decisione estemporanea nello stile di Trump, che avrebbe “premuto il bottone” per mettere in esecuzione un piano preparato da tempo ma che, almeno per il momento, avrebbe dovuto restare sulla carta.

commissione europeaUsa e Europa, interessi ormai divaricati

Le prospettive di quanto potrebbe accadere nell’area, dal Libano all’Iraq all’Iran stesso, il timore che lo scontro tra sciiti e sunniti si “statalizzi”, se così si può dire, ancor più di quanto sia avvenuto finora, con l’Iran e l’Arabia Saudita campioni armati dei due campi e altri paesi, a cominciare dall’Iraq e dal Libano, lacerati dall’interno e infine i sospetti sulla estemporaneità dell’iniziativa del presidente degli Stati Uniti spiegano la paura che si va diffondendo sulla possibilità che si arrivi a un punto di rottura non più gestibile. In realtà, però, una rottura è già avvenuta, ormai da più di un anno. È stato quando, nell’estate del 2018, Trump ha annunciato il ritiro degli Stati Uniti dall’accordo tra il gruppo 5+1 (i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu più la Germania) e Teheran sul controllo del nucleare che era stato raggiunto nel 2015 con la mediazione anche dell’Unione europea e con l’impegno attivo dell’allora Alta Rappresentante per la politica estera e la sicurezza Federica Mogherini (ingiustamente maltrattata in patria). Il ritiro americano e le sanzioni imposte poi ai paesi che continuavano ad importare petrolio e ad avere rapporti economici con l’Iran hanno contribuito fortemente a rafforzare a Teheran l’area più radicale ai danni delle personalità più moderate e dialoganti. È accaduto quel che era accaduto nei rapporti tra l’occidente e la Russia dopo la fine della guerra fredda: l’ostilità nei confronti di Mosca, le spinte ad allargare la NATO verso est hanno irrigidito il potere al Cremlino e favorito l’ascesa delle istanze intransigenti e nostalgiche del vecchio potere dell’Impero, abilmente sfruttate e organizzate dall’autocrate Putin.

Dietro alla grave e pericolosissima crisi aperta dalla mossa di Trump c’è, insomma, la storia, vecchia, della divaricazione degli interessi tra gli Stati Uniti e l’Europa. La reazione delle cancellerie del vecchio continente e delle istituzioni di Bruxelles all’avventurismo dell’attuale inquilino della Casa Bianca è stata chiara e abbastanza forte, ma sconta ambiguità e contraddizioni che esistevano anche prima che Trump prendesse il posto di Barack Obama. È ora che in Europa cominci una seria riflessione sulla NATO.