Lo scoglio del debito
per l’alleanza Pd-M5s
alle elezioni di Napoli

Negli ultimi decenni le elezioni comunali a Napoli hanno più volte assunto la dimensione di laboratorio politico: è successo già all’inizio della seconda repubblica, quando nel 1993 Antonio Bassolino conseguì il governo della città per il PDS, e poi nuovamente nella fase finale di quella fase politica, ossia quando nel 2011 Luigi de Magistris batté il centrosinistra.

L’enorme debito comunale

Dieci anni dopo quel sorprendente risultato, che anticipò la crisi del centrosinistra tradizionale e la nascita del Movimento 5 Stelle, Napoli è di nuovo un crocevia di estrema importanza per le forze politiche: è questa l’unica tra le grandi città italiane in cui sembra possibile replicare sin dal primo turno l’alleanza che ha sostenuto il governo Conte II.

La maggior difficoltà per questa coalizione si è rivelata essere l’individuazione di un candidato sindaco: il nome sondato con più forza è stato quello di Gaetano Manfredi, ex Ministro dell’Università e della Ricerca, che però sembra aver rifiutato, pubblicando una lettera aperta in cui indica il vero elefante nella stanza, o meglio nel Municipio: l’enorme debito accumulato dal Comune di Napoli.

Il Comune è chiaramente sull’orlo di un burrone, gravato da una massa debitoria gigantesca per la quale pochissimi possono dirsi senza responsabilità: si è arrivati a questo stato delle cose a causa di una sequenza di scelte sbagliate che risale perlomeno a 15 anni fa, quando la giunta dell’epoca, guidata da Rosa Russo Iervolino, prese l’improvvida decisione di utilizzare alcuni derivates, i prodotti finanziari che sarebbero stati di lì a poco al centro della più grande crisi economica che si ricordi dal 1929 a oggi. La situazione dell’Ente è peggiorata di anno in anno a causa di una combinazione tra valutazioni errate durante le ultime due consiliature e di disinteresse dei governi nazionali per le condizioni degli enti di prossimità, che sono stati progressivamente strangolati: è ormai noto che lo Stato centrale, con il taglio dei trasferimenti, ha scaricato sugli enti locali la maggior parte del peso del patto di stabilità.

Sindaco o commissario liquidatore?

Al gesto di Manfredi il dibattito cittadino non sembra aver risposto con grande maturità: purtroppo pare che a prevalere siano le letture tatticiste, accompagnate dal lancio delle colpe tra i diversi attori susseguitisi sulla scena politica cittadina nell’ultimo ventennio. Diverse voci anche autorevoli dell’opinione napoletana si sono limitate a lanciare strali verso De Magistris, che chiaramente non è esente da responsabilità, rifiutando però di riconoscere che la radice del problema è assai più complessa degli errori di un singolo.

Davanti a questo disastro, pensare che la soluzione sia individuabile solo svendendo qualche palazzo è semplicemente lunare.
A ogni modo, c’è anche chi, perlopiù in privato, stante l’autorevolezza del personaggio, ha criticato Manfredi per la freddezza dell’approccio, ritenendo (anche giustamente) che fare il sindaco di una città, e ancor di più una complessa come Napoli, interroghi innanzitutto il senso di appartenenza a una comunità, lo spirito di servizio con cui si intende l’assunzione di una carica politica, e solo dopo il ragionamento, comunque legittimo, sul rapporto tra rischi e possibili risultati. Ma contemporaneamente è doveroso riconoscere che se il problema del debito non verrà affrontato in modo strutturale, qualsiasi sindaco, anche il più esperto e competente, potrebbe al massimo fungere da commissario liquidatore, se non addirittura e più realisticamente essere costretto a dichiarare il dissesto e far intervenire un commissario, che a sua volta potrebbe fare molto poco, il giorno successivo alla propria nomina.

L’enormità del problema è testimoniata dal fatto che sono migliaia i comuni, di tutte le dimensioni, in analoghe condizioni, collocati perlopiù, ma non solo, nel Mezzogiorno, a conferma di un grave deficit di tenuta istituzionale che risale anch’esso lungo la Storia del nostro Paese.

Un test per i giallorossi

Lo stato delle cose ora è che alcune forze politiche del centrosinistra hanno iniziato a ragionare attorno a una legge per salvare i comuni in crisi; ma, seppure questa legge affronti l’urgenza, è già ora chiaro che non arriverebbe alle radici più profonde del problema, cioè un sistema di contabilità insostenibile e un inadeguato bilanciamento tra entrate e spese a cui gli enti locali devono provvedere. In sostanza, a prescindere dalle capacità delle classi dirigenti locali, in pochi anni tanti dei comuni interessati rischierebbero di ritrovarsi nella stessa situazione di oggi.

Dunque è necessario che le forze del centrosinistra e del Movimento 5 Stelle lavorino su due livelli: da un lato proseguendo nell’intesa che, nella terza città d’Italia, può rappresentare un virtuoso laboratorio nazionale, e dall’altro in Parlamento, affrontando una volta per tutte quella che non è semplicemente una questione locale di Napoli, ma il problema della sostenibilità di tantissimi bilanci comunali.

Non c’è più la possibilità di rimandare: il sistema attuale va rivisto in profondità, costruendo un sistema di regole che miri alla sostenibilità e capacità di azione degli enti di prossimità non solo nell’immediato, ma soprattutto nel futuro.