Lotti, il Pd dovrebbe risparmiarsi l’ennesima guerra interna

Certo, non c’è finora alcun provvedimento giudiziario a suo carico: non ha ricevuto nemmeno un avviso di garanzia. Certo, bisognerà aspettare gli sviluppi delle indagini per capire quel che è accaduto davvero in quelle strane riunioni. Certo, niente processi in piazza sulla base di intercettazioni. Tutto questo è certo: siamo d’accordo. Ma la posizione di Luca Lotti, braccio destro di Renzi, uomo chiave del “giglio magico”, ex ministro allo Sport, era politicamente insostenibile. Ripetiamo: politicamente, non giudiziariamente.

Per questo ha fatto bene ad autosospendersi dal Pd, anche se lo ha fatto con una frecciata al veleno contro il tesoriere Luigi Zanda che gli aveva chiesto un passo indietro e con toni così duri e sprezzanti che fanno presagire acque molto agitate dentro il Pd nei prossimi giorni. La guerra sotterranea del mondo renziano che finora ha tenuto un po’ sulle spine Zingaretti potrebbe trasformarsi in una battaglia in campo aperto con quali esiti è difficile dire.

Un caso inquietante

Ma quello che sta emergendo dalle intercettazioni effettuate tramite un software spia istallato nello smartphone del giudice Luca Palamara è davvero inquietante. Un gruppo di persone, politici e magistrati, si incontrava notte tempo in un albergo romano per cercare di accordarsi, secondo la ricostruzione del Procuratore capo della Cassazione Riccardo Fuzio, sulle nomine dei procuratori capo di Roma e di Firenze facendo i nomi di persone che non dessero fastidio ed escludendo quelle che invece potevano essere di ostacolo e andavano in qualche modo “punite”.

L’indagine ha terremotato il Csm coinvolgendo cinque togati dell’organo di autogoverno della magistratura e ha costretto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ad intervenire chiedendo elezioni suppletive per sostituire i dimissionari. Un caso che sta mettendo a dura prova una delle istituzioni più delicate del nostro assetto democratico. Si è perfino tentato, con parole e sospetti usati ad arte, di coinvolgere anche il Quirinale gettando fango su uno dei consiglieri di Mattarella. Non ci sono dubbi, si tratta di una vicenda grave perché apre uno squarcio sui rapporti malati tra una certa politica e una certa magistratura.

Lotti si difende professando la propria innocenza e sostenendo che si tratta solo di fango contro di lui. Avrà modo di dimostrarlo. Ma restano, anche dopo la lettera inviata al segretario del Pd ieri, pesanti interrogativi sul suo ruolo politico.

Che ci faceva in quelle riunioni segrete?

Per conto di chi interveniva su possibili nomine di magistrati?

E perché ha preso di mira, nelle frasi intercettate, il pm di Firenze Creazzo, quello che ha indagato sui genitori di Renzi?

E perché ha detto che bisogna “mandare un messaggio forte” al vicepresidente del Csm, il suo compagno di partito David Ermini?

A queste domande Lotti non risponde. E in questo modo non fa altro che lasciare che su tutta questa vicenda si depositi una coltre di insostenibili sospetti.

 

I compiti della politica

La giustizia farà il suo corso e dirà che cosa c’è dentro questa brutta storia di intrighi. Ma la politica non è la giustizia. Non deve emettere sentenze, ma non può, e nemmeno deve, restare in silenzio, ferma in precario equilibrio su un burrone dentro il quale può cadere rovinosamente. Non può lavarsene le mani in attesa che un’aula di Tribunale risolva la questione in un modo o in un altro.

Ha ragione Zingaretti a dire che “ogni processo sommario celebrato sulla base di spezzoni di intercettazioni va respinto”. Su questo non ci sono dubbi. Ma se è vero quello che aggiunge, e cioè che “il Pd non ha mai dato mandato a nessuno di occuparsi degli assetti degli uffici giudiziari” e che “il partito che ho in mente non si occupa di nomine di magistrati”, allora deve trarne le conseguenze senza indugi e senza giustizialismi e cercare di capire non solo che cosa è accaduto in quelle cene romane ma anche e soprattutto se ci sono altri ambiti nei quali esponenti dem svolgono un ruolo anomalo.

Altrimenti il rischio è che la fragile ripresa del Pd e la gracile fiducia riconquistata tra gli elettori vengano travolte definitivamente facendo crollare un partito che ancora si regge su un equilibrio incerto. Non si preoccupi insomma di non dare troppo fastidio a Renzi, si preoccupi piuttosto di dare segnali chiari a chi crede nella bella politica che si occupa dei problemi del Paese e non delle trame carbonare.

Nel codice etico del Pd, all’articolo 2, c’è scritto che “le donne e gli uomini del Partito Democratico sostengono l’autonomia della politica, perché sia credibile e rafforzi il rapporto di fiducia con i cittadini” e concepiscono la politica “rispettosa delle altre autonomie, non autoreferenziale e soprattutto lontana da qualunque pretesa di invadenza e di lottizzazione”. E inoltre, in modo ancora più esplicito, avverte che gli stessi “ispirano il proprio stile politico all’onestà e alla sobrietà” e non devono abusare “della loro autorità o carica istituzionale per trarne privilegi; rifiutano una gestione oligarchica o clientelare del potere, logiche di scambio o pressioni indebite”.

Basta equilibrismi nel Pd

Questi impegni sembra proprio che siano stati disattesi da un autorevole uomo del Pd come Luca Lotti. Con la sua autosospensione si apre una nuova fase che potrebbe portare a un chiarimento dentro il partito e a un cambio di stile e di comportamenti politici nel segno della trasparenza. Ma le cose potrebbero anche non andare in questo modo. Il passo indietro di Lotti, compiuto forzatamente e con toni duramente polemici, potrebbe invece essere il segnale che sta per cominciare una guerra nel partito per mettere in difficoltà Zingaretti dopo pochi mesi dalla sua elezione. Oppure che si prepara una rottura del mondo renziano. In ogni caso il segretario del Pd deve tirare dritto per la sua strada. Evitando da oggi in poi i troppi equilibrismi  e le timidezze che, in nome del quieto vivere, hanno segnato questa prima fase della sua segreteria.