L’Onu e i bambini
le missioni in Congo
dell’ambasciatore ucciso
Guardando la carta del Congo la strada tra Goma e la regione del Kivu non sembra tanto lontana da Kindu, la città nella foresta in cui l’11 novembre del 1961 tredici aviatori italiani furono torturati, uccisi e gettati nel fiume. In realtà tra il luogo dell’eccidio di 60 anni fa e il villaggio di Kanyamahoro, su quella strada maledetta dove l’ambasciatore Luca Attanasio, il carabiniere Vittorio Iacovacci e l’autista Mustapha Milambo sono stati rapiti e poi ammazzati, c’è una grandissima distanza: centinaia di chilometri di giungla senza città né strade. Sono vicini, però, nell’orrore della morte Kindu e quel villaggio, fino a ieri sconosciuto, del parco dei monti Virunga. Tredici innocenti morirono a Kindu, tre innocenti sono morti nella foresta dei gorilla di montagna, a pochi chilometri dal Rwanda, un nome sì, questo, conosciuto in tutto il mondo, quello di un paese che è stato teatro pochi anni fa di una delle più sanguinose guerre civili della storia moderna.

Gli aviatori di Kindu e l’ambasciatore con il carabiniere di scorta e l’autista avevano la stessa missione in Congo ed era una missione di pace per conto delle Nazioni Unite. In condizioni molto diverse, in un contesto politico molto diverso, gli uni e gli altri hanno sacrificato la vita al proprio dovere verso un’organizzazione che è andata perdendo negli anni forza politica e prestigio agli occhi delle nazioni, almeno quelle del mondo ricco dell’Occidente, e di quote crescenti dell’opinione pubblica mondiale. E che però resta l’unica bandiera universale, l’unico fattore, almeno ideale, d’ordine del mondo, spesso l’ultima speranza per i popoli dei luoghi dove infuria la guerra e dominano le ingiustizie. Forse, chissà, la morte del giovane diplomatico italiano servirà almeno un po’ a confortare la buona volontà di quanti si battono per una riforma che riporti l’Onu alla pienezza del suo ruolo nel mondo.
La missione Monusco
Le indagini sull’assassinio di Attanasio e dei suoi collaboratori dovranno stabilire perché i tre si trovassero in quella macchina, su quella strada, quel giorno, a quell’ora. Ma soprattutto si dovrà capire perché il convoglio di cui l’auto con le tre vittime faceva parte si fosse avventurato senza mezzi blindati di scorta su una strada che a posteriori si è detto fosse “sicura”, ma che attraversa una delle regioni più pericolose del mondo, dove gruppi armati, alcuni provenienti dal vicino Rwanda, infiltrati dell’estremismo islamista e banditi comuni che approfittano della guerra civile per impiantare il loro potere sanguinario sono padroni del terreno. In un primo momento dopo l’eccidio si era pensato che ambasciatore fosse in viaggio nell’ambito della missione di peacekeeping dell’ONU Monusco e che andasse nel Kivu per preparare la chiusura dei presìdi nella regione. Il contingente, formato essenzialmente da militari uruguayani e asiatici, infatti, comincerà tra poco ad essere ritirato dopo 21 anni di presenza militare volta a limitare per quanto fosse possibile gli scontri tra le fazioni in lotta e a proteggere la vita e un minimo di normalità dei civili. Poi dal WFP (il PAM, Programma mondiale per il cibo) è giunta la notizia che Attanasio si trovava nella regione per accompagnare il convoglio che portava derrate alimentari in un centro dell’organizzazione nella località di Rutshuru. L’ambasciata italiana a Kinshasa è un punto di riferimento importantissimo per l’agenzia alimentare dell’Onu che ha ricevuto il premio Nobel per le sue attività di sostegno a 80 milioni di persone l’anno. Attanasio, dunque, era in missione per l’Onu ed è ai suoi dirigenti che toccherà dar conto della leggerezza, se leggerezza c’è stata, che è costata la vita alle tre vittime. L’Italia è tra i paesi dell’Unione europea garanti delle operazioni di mantenimento della pace, senza soldati ma con importanti compiti politici ed amministrativi.
C’era poi un’altra missione cui l’ambasciatore Attanasio aveva dedicato passione e intelligenza. Era il presidente, onorario ma molto presente e attivo, di Mama Sofia, una onlus dedita all’assistenza delle donne povere, delle ragazze madri e dei ragazzi e i bambini di strada, tremende piaghe sociali a Kinshasa e nelle altre grandi città della Repubblica democratica del Congo. L’organizzazione è stata fondata dalla moglie, Zakia Seddiki, che Attanasio aveva conosciuto e sposato a Casablanca, durante il periodo di servizio svolto da lui in Marocco. La vedova, anche lei molto giovane, resta con le tre figlie in un’età in cui non è possibile capire che il padre non c’è più. Per la loro attività di sostegno alle donne e all’infanzia, nell’ottobre scorso Luca e Zakia avevano ricevuto a Roma il premio internazionale Nassiryia per la pace.
La vertenza sui bambini adottati
La sensibilità dell’ambasciatore per la sorte dei bambini, testimoniata visivamente dalla serenità triste di tante immagini che girano in queste ore in rete, lo aveva guidato nell’abilità diplomatica con cui nel 2015 riuscì a chiudere positivamente una complicatissima vertenza tra l’Italia e il Congo. Il governo di Kinshasa, che non ha mai ratificato la convenzione internazionale sulle adozioni del 1993, nel 2013 bloccò l’espatrio di almeno 1.500 bambini che erano stati regolarmente adottati da famiglie straniere, prevalentemente italiane. Fu necessario un lungo negoziato tra i governi che portò a un primo parziale sblocco nel 2015 e poi Attanasio, ambascitore a Kinshasa dal 2017, ebbe un ruolo decisivo per la definitiva soluzione della vertenza.
C’è un legame evidente tra le due missioni cui Attanasio si è dedicato, l’Onu e i bambini. E in qualche modo esse sono in relazione con una notazione molto seria che l’ambasciatore fece, un po’ scherzando, in una intervista rilasciata a Diego Bianchi per la trasmissione tv “Propaganda Live”: in Congo – disse – ci sono molti italiani: i missionari, certo, ma anche tanti emigrati economici che arrivarono nel paese negli anni ’50. Allora le speranze dei più poveri viaggiavano, tra l’Italia e l’Africa, in direzione contraria a quella di oggi. Una lezione, anche questa.
Sostieni strisciarossa.it
Strisciarossa.it è un blog di informazione e di approfondimento indipendente e gratuito. Il tuo contributo ci aiuterà a mantenerlo libero sempre dalla parte dei nostri lettori.
Puoi fare una donazione tramite Paypal:
Puoi fare una donazione con bonifico: usa questo IBAN:
IT54 N030 6909 6061 0000 0190 716 Intesa Sanpaolo Filiale Terzo Settore – Causale: io sostengo strisciarossa
Articoli correlati