Omicidio Regeni:
serve durezza
per avere giustizia

A leggere della fine di Giulio Regeni, così come è stata ricostruita attraverso alcune testimonianze dai magistrati di Roma, capita di vivere un dolore incredulo per la ferocia degli aguzzini, per l’ipocrisia dei loro capi (anche di chi sta più in alto di tutti), per la futilità del delitto. Forse sarebbe bastato quel cadavere seminudo scoperto una mattina di febbraio del 2016, dentro un fossato ai bordi dell’autostrada che conduce dal Cairo ad Alessandria, a dire tutto, ma ora si sono aggiunte le voci di una indagine a sommare sdegno, paura, orrore.

Qualcosa di impresentabile, perché privo di qualsiasi senso: che uno studente italiano sia stato sequestrato, torturato, ucciso, uno studente di Cambridge inviato in Egitto da una università inglese, per uno studio sull’organizzazione sindacale, è qualcosa che non può stare nell’interesse di un paese, neppure di una sanguinaria dittatura, tanto più pensando alla storia, ai rapporti internazionali, agli scambi tra un centro e l’altro…

Giulio Regeni non aveva armi per nuocere all’Egitto. Poteva usare un taccuino, una penna, forse un registratore. Niente di più. Avrà incontrato giovani come lui, lavoratori, dirigenti di qualche organizzazione governativa, si sa che quando venne prelevato dagli sgherri di Al Sisi, aveva da poco conosciuto il presidente degli ambulanti del Cairo, colui che probabilmente lo ha tradito consegnandolo ai servizi segreti come fosse una spia e un criminale.

In questi anni il presidente egiziano Al Sisi, il generale salito al potere con un colpo di stato, il generale che rimarrà al potere almeno fino al 2030 dopo aver cambiato la costituzione, ha continuato a incontrare altri presidenti, ultimo Macron che gli ha regalato la Legion d’onore. Il governo italiano ha richiamato l’ambasciatore, che ha poi rimandato al Cairo. L’Europa ha taciuto, considerando l’Egitto una sponda al fondamentalismo. Si sono sentiti i genitori di Giulio Regeni, le altre vittime di questa tragedia, che con un coraggio inimmaginabile dopo tanta sofferenza, si sono battuti perché si arrivasse ad una verità. Verità alla quale sembra siano giunti i magistrati di Roma, che hanno individuato i presunti colpevoli, hanno i nomi e tra questi nomi anche quello del presunto torturatore e omicida.

Fosse questa la verità sarebbe già un risultato. La verità può consolare. Ma chi può dire se poi succederà qualcosa. L’omertà egiziana è stata totale: hanno fatto di tutto per occultare, deviare, coprire, inventando storie di ogni genere, inventando incidenti stradali, spaccio di droga, bande criminali di sequestratori, negando agli investigatori italiani documenti, tabulati telefonici, cancellando filmati. Dopo aver ovviamente promesso “piena collaborazione”, come sempre si promette.

Quando venne ritrovato il cadavere di Giulio Regeni, era in Egitto, in missione, Federica Guidi, ministra del governo Renzi. Se ne tornò subito a casa e fu il gesto più forte. Il Parlamento europeo votò una mozione per condannare le violazioni degli statuti internazionali da parte dell’Egitto. Francia e Gran Bretagna espressero solidarietà all’Italia. Amnesty International promosse la campagna “Verità per Giulio Regeni”. Su molti municipi italiani si vedono stesi ancora gli striscioni che invocano “verità per Giulio Regeni” (mi pare che qualche sindaco leghista li abbia rimossi, per “decoro”). Poi poco d’altro o troppo poco per scuotere un dittatore molto abile nell’intessere rapporti e nel deturpare ogni segno di democrazia nel suo paese, nel cancellare i diritti dei suoi concittadini, di mortificare le speranze suscitate dalla pacifica rivoluzione di piazza El Tahrir nel 2011.

I genitori di Giulio chiedono ancora che l’Italia ritiri l’ambasciatore. Alla loro richiesta si è unito il sindaco di Milano, Sala. Un gesto di valore. Ma quale utilità abbia una misura del genere è difficile riconoscere: forse solo un segno simbolico. Chiudere ogni rapporto lascia cadere ipotesi di intesa giudiziaria. Si vorrebbe dal governo un atteggiamento più duro, come non era accaduto con Renzi, con il primo Conte, come non sta accadendo con il secondo Conte, ministro degli esteri il “pallido” Di Maio. “Pallida”, forse dai tempi di Craxi, è la politica estera italiana. Si cercano spiegazioni nella difesa di vantaggi economici prevalenti.

Ma la debolezza italiana è lo specchio della debolezza e della disunità europea e fa scandalo il silenzio dell’Unione europea, incapace di una nobile battaglia: Giulio Regeni riguarda tutti noi, come penso che ci riguardino anche i diritti di un popolo che sta alle porte dell’Europa e con il quale l’Europa non può non interloquire. Per varie ragioni, politiche, economiche, culturali. L’Europa può alzare la voce, finora flebile. Ma forse non lo vuole. Troppe contraddizioni al suo interno. Dovrebbe pretendere il rispetto dei diritti fondamentali anche da parte dell’Ungheria, della Polonia… Davvero per un conto economico si può chiudere un occhio…

Restano i giornali, resta l’opinione pubblica. La sensazione è che l’assassinio di Giulio Regeni sia già stato archiviato (e la prigionia di Patrick Zaki, arrestato nel febbraio scorso, in galera al Cairo per ora fino al prossimo febbraio e poi non si sa ancora per quanto, sembra vissuta come un contrattempo che ci tocca poco: per la storia italiana di Zaki, che tuttavia – si sottolinea – è un egiziano). Non ci sono tracce d’altro. Bisognerebbe tornare in piazza, gridare contro Al Sisi (che, se non si sentisse intoccabile, potrebbe capire che gli converrebbe “mollare” tre o quattro assassini: per i buoni rapporti con l’Italia e con il mondo intero). Bisognerebbe scendere in piazza e rivendicare insieme con il governo un’iniziativa dall’Europa. Ma è difficile (e improbabile) riuscire a scuotere gli italiani (persino poco scossi in vista delle vacanze natalizie dai loro cinquantamila morti di covid). Povero Giulio, dimenticheremo anche il tuo sorriso.