Austria, lo spettro
del nazionalismo
Se un paese che ha solo il 5% di disoccupati, il Pil in crescita più della media europea e quasi nessun problema di bilancio si butta a destra nel modo in cui ha fatto l’Austria, è il momento di interrogarci tutti su che cosa sta succedendo in larga parte del continente. Che cosa sono, e da dove nascono le paure, le delusioni, i risentimenti che hanno convinto milioni di elettori a votare per un partito della destra estrema, in tutto simile al Front National francese, ai sedicenti “liberali” di Geert Wilders, ai partiti xenofobi dell’est, alle formazioni che predicano la ribellione alle tasse nel Nord Europa?
La spiegazione che viene in mente per prima, la paura per gli stranieri, il rifiuto dei profughi, la negazione della solidarietà (in un paese nonostante tutto ancora molto cattolico) è ovvia, ma non risponde fino in fondo alla domanda. In fin dei conti gli immigrati, almeno quelli nuovi, sono relativamente pochi in Austria. Molti arrivarono per la rotta balcanica, ma in numero notevolmente più basso di quelli che raggiunsero la Germania e i paesi del nord. Pochissimi, quasi nessuno, è arrivato dal sud, dall’Italia, nonostante le isterie di chi voleva costruire il muro e mandare i carri armati al Brennero. Quella del ministro degli Esteri Sebastian Kurz, il grande vincitore del voto e prossimo cancelliere, che voleva blindare il confine e pretendeva che l’Italia tenesse prigionieri tutti gli immigrati a Lampedusa era una follia, ma una follia lucida.
Nessuno deve aver mai pensato che quella infame stupidità potesse aver un seguito concreto. Era propaganda. Ma propaganda pericolosissima. Sulla paura della “invasione” s’è fatta buona parte della campagna elettorale, è vero, e l’ha fatta non solo la Fpö di Heinz-Christian Strache ma anche, e forse addirittura di più e peggio, la Övp, il partito democristiano di Kurz che ha una storia non priva di macchie e di brutte frequentazioni ma comunque nel segno di valori popolari e democratici. Tant’è che il giovane rampante ha cercato di farla scivolare, questa storia “bella”, in secondo piano inventandosi, secondo un cliché che dalle nostre parti conosciamo bene, la scorciatoia di una “lista per Kurz” modellata sul suo personalissimo (e molto televisivo) carisma.
La paura dei profughi, insomma, o meglio il rifiuto assoluto degli immigrati che pare essere diventato il cemento ideologico di grandissima parte dell’opinione pubblica austriaca. Ma non spiega tutto. Non spiega, intanto, il magro risultato ottenuto dai socialisti del cancelliere (uscente) Christian Kern. Anche la Spö si era schierata nell’ampio fronte del no ai nuovi arrivi e dell’espulsione dei nuovi arrivati che non avessero titolo per l’asilo. Kern, anzi, era stato scelto dal partito come cancelliere subito dopo l’ondata della rotta balcanica proprio per far dimenticare presunte, anzi del tutto inesistenti, “debolezze” del suo predecessore Werner Faymann nella gestione della crisi. Certo, i toni della Spö erano un po’ più civili di quelli della destra, ma la sostanza era la stessa.
E allora? Sgombriamo il campo dall’inessenziale. La destra, e soprattutto la Övp, ha certamente beneficiato della gigantesca gaffe compiuta dall’apparato di propaganda della Spö, che si era affidato a un improbabile consulente elettorale beatamente ignaro dei pesantissimi danni che simili personaggi vanno seminando nel mondo a tutti coloro che ne richiedono l’intervento. Il consulente, un israeliano, aveva orchestrato una campagna di fake news contro Kurz talmente maldestra da far pensare a qualche complottologo che fosse stata addirittura pensata per favorirlo. La penosa vicenda ha certamente fatto perdere dei voti ai socialisti, ma è evidente che il flop del partito di Kern, che è rimasto praticamente al palo nonostante il travaso a suo favore di un buon 8% dei voti dei Verdi, a loro volta fortissimamente ridimensionati, non può essere spiegato soltanto con l’episodio di dirty campaigning, pratica che ora i democristiani chiedono, giustamente, che venga considerata reato.
La crisi della Spö non è diversa da quella in cui versa la sorella tedesca e, con poche eccezioni, tutti i partiti della famiglia socialista europea. Crisi di programmi, di idee e soprattutto di capacità di esercitare egemonia in tutti i campi, a cominciare dall’economia. Questa crisi provoca l’ascesa della destra non solo perché viene meno un argine ma anche perché demagogia e populismo hanno gioco facile sugli strati sociali tradizionalmente orientati a sinistra. Si può scommettere che l’analisi del voto in Austria ci dirà, nelle prossime ore, che per la destra hanno votato larghe fasce popolari, come avviene ormai da anni in tutte le elezioni nei paesi europei.
Ma c’è ancora dell’altro. Consideriamo un attimo la geografia. Se, come è praticamente certo, a Vienna si formerà un governo non di centro-destra ma (tenendo conto delle posizioni della Övp di Kurz) di destra-destra, avremo una grandissima porzione di Europa, dal Brennero alla Russia, in mano a governi xenofobi, potenzialmente razzisti, con connotati più o meno sfumati di autoritarismo e antieuropei. Che queste tendenze si siano andate affermando in tutti i paesi dell’Europa centrale e orientale che fecero parte del blocco dominato da Mosca non è certamente un caso. La dissoluzione del sistema di potere del “socialismo reale” ha liberato spinte nazionalistiche che erano state nascoste, compresse e stigmatizzate. Certo, l’Austria non ha fatto parte del blocco sovietico, ma, stretta tra i Balcani a sud e gli ex satelliti sovietici a nord e a est, è un pezzo di quella parte d’Europa in cui il rapporto con l’identità nazionale rappresenta un problema.
In Austria lo è per ragioni storiche lontane, l’impero multinazionale che faceva capo a Vienna, ma anche vicine: la scelta di restituirle l’indipendenza, alla fine della seconda guerra mondiale, come se fosse un paese che era stato aggredito e non protagonista del nazismo, il difficile e sempre un po’ ambiguo rapporto con la Repubblica federale, la neutralità mantenuta anche dopo l’ingresso nell’Unione Europea. La Germania ha fatto, con il processo di Norimberga e poi con i grandi processi per i crimini nei Lager, conti con la storia che all’Austria sono stati risparmiati. La Germania ha scelto l’occidente, mentre l’Austria non è stata mai chiamata a scegliere. Come per l’Ungheria, la Polonia, la Cechia, la Slovacchia, i paesi del patto di Visegrad, le è più facile rinnegare l’Europa e riscoprire il nazionalismo con i suoi veleni. E sarà un problema, ai nostri confini.
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