Madia-Serracchiani. E se lo scontro fosse stato tra due maschi?
Che tristezza lo scontro Madia-Serracchiani. Traduzione: le avete volute le donne? Ecco che si parte subito con il gallinaio. Ma che titolo ci sarebbe stato sui giornali se fosse stato un “normale” scontro tra due maschi parlamentari? Basso in cronaca…
L’enfasi mediatica nasce, indubitabilmente, dal fatto che si sta parlando di due donne in contesa (anzi: candidate) per un luogo di potere politico nel Pd stabilmente occupato da uomini.
Madia e Serracchiani utilizzano categorie della politica: parlano di cooptazione e di autonomia. Hanno ragione, hanno torto, ha più ragione l’una o l’altra, hanno storie politiche diverse, sono di correnti diverse: dinamiche politiche. Sono simpatiche? È più simpatica l’una o l’altra, la bionda o la bruna? La simpatia non è una categoria della politica, tanto quanto il colore dei capelli.
Sono ostaggio e strumento delle correnti, non hanno forza e coraggio di distinguersi? Chi lo ha mai chiesto ad altri candidati?
Chi ha frequentato, anche solo occasionalmente, i corridoi di Montecitorio o di Palazzo Madama, sa bene che la scelta del/della capogruppo non è mai stata una passeggiata. Su cui, magari, i giornali hanno speso qualche riga, ma senza affannarsi. Lascio a chi è assiduo di quei corridoi l’analisi se stavolta la questione è posta in maniera più forte, se scambi così repentini di memorie siano davvero una novità, se se se…
Il cambio di passo di Letta
E allora proviamo a cambiare la lente del cannocchiale, e mettere a fuoco la scena più larga. Da quando Letta ha preso in mano il Pd ancora infuocato dalle proteste per la mancanza di ministre al governo. Letta ha chiamato due vice, un uomo e una donna. Poi ha fatto una segreteria, otto uomini e otto donne. Poi ha chiesto che in Parlamento si cambiassero i capigruppo e arrivassero delle capigruppo. Poi, si dice, ha comunque usato il manuale Cencelli per non scontentare nessuna corrente.
Un meccanicismo che per chi ha a cuore la democrazia paritaria e sbuffa di fronte alle quote di qualunque colore, lascia un po’ perplesse (perplessi). Ma se le sedie intanto vanno liberate, da qualche parte in effetti bisogna cominciare: è stato chiesto ad almeno 11 uomini di fare un passo indietro. Le undici donne devono essere “meglio”? Ma perché?
La rivolta delle donne
Ancora un cambio di lente, ancora più ampia la veduta: la presenza Pd al governo. Quando si è visto che “da sinistra” (scusate le virgolette) non c’erano donne sugli scranni ministeriali, la rivolta delle donne non è stata solo delle donne del Pd, ma anche di tutte quelle (e, speriamo, quelli) che sanno che anche nel Pd ci sono donne di grande valore, tagliate fuori. Una rivolta che ha avuto anche, tra le parole d’ordine, l’invito alle politiche di non accettare gli strapuntini del vice-governo. A cui si contrapponeva la riflessione sul fatto che le tribune vanno prese tutte, sempre. È andata a finire come sappiamo, e qualche “vice” targata Pd non è stata neppure scelta dal Pd…
Da tutto ciò bisogna trarre un’analisi politica: il Pd è messo male. Le Democratiche si sono riorganizzate (intesa come Conferenza delle donne), ma non si capisce davvero che peso abbiano nelle politiche del partito. L’attaccamento alle poltrone, per sé o per la propria corrente (pazzesco si il caso Marcucci-Malpezzi al Senato), lascia basito chi ancora ha voglia di seguire il sottobosco della politica. I giornali tutti non hanno più da lungo tempo voglia di fare analisi politiche, laddove quella che latita sembra proprio la politica. Fanno titoli. Spesso a effetto. Che c’è di meglio di un accapigliarsi tra donne?
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