L’Iran in cui il serial killer è un eroe e le donne meritano disprezzo
“Dite che sono pazzo? Sì, sono pazzo di Reza, sono pazzo dell’Ottavo Imam, sono pazzo di Dio”. Dopo aver reso piena confessione del barbaro omicidio di sedici prostitute, il muratore Saeed Hanaei replica sarcastico a chi, nell’aula del tribunale, lo ritiene un folle. No, lui ha solo obbedito all’ordine superiore di ripulire la santa città di Mashaad dalle tossiche impure depravate che adescano i probi cittadini nelle vicinanze del santuario dell’Imam Reza, l’ottava Guida Spirituale dei musulmani sciti vissuto nel IX secolo. Le caricava in moto, le portava a casa quando la moglie Gohra andava coi tre figli a trovare i genitori e le strozzava col velo, poi si liberava dei cadaveri avvolgendoli talvolta in un tappeto.
Il volto di una donna ed un tappeto
E il volto di una donna pesantemente truccata campisce al centro di un tappeto sulla locandina del drammatico, durissimo “Holy Spider”, terzo lungometraggio di Ali Abbasi, quarantaduenne iraniano naturalizzato danese, una delle figure più importanti della diaspora intellettuale iraniana. Dopo “Shelley” e “Border-Creature di confine” del 2018, primo premio a Cannes nella sezione Un certain regard, Abbasi, insieme al co-sceneggiatore Afshin Kamran Bahrami, ha tratto spunto da un caso di cronaca nerissima diventato scandalo nazionale tra il 2000 e il 2001, quello del Ragno Assassino (o Ragno Santo, secondo il titolo originale) di Mashaad, grande città “cuore degli sciiti iraniani” e meta di pellegrinaggi devoti al santuario di Reza, ottavo discendente di Ali, il cugino e genero di Muhammad. Una sequenza di omicidi, germinati nella mente malata e come tale riconosciuta da diverse diagnosi, di un reduce della guerra Iran-Iraq, che aveva messo a nudo la pigrizia della polizia nelle indagini e l’imbarazzo degli alti teocrati della capitale davanti al discreto appoggio popolare ottenuto dal Ragno, divenuto un eroe dei fondamentalisti e dei settori più tradizionalisti del Paese.
Impossibile girare il film in Iran
Il regista avrebbe voluto girare in Iran, missione resa ardua dalle lungaggini e dai silenzi della burocrazia che lasciavano intendere quanto l’idea di rispolverare la storia, già al centro nel 2002 del documentario “And Along Came a Spider” di Maziar Bahari, fosse sgradita al regime degli ayatollah, così il film è nato ad Amman, in Giordania, non senza problemi peraltro, e mostra donne senza velo, una scena iniziale di nudo, amplessi: tutto quello che in un film made in Iran non si vede manco di striscio. Il disturbante Holy Spider – lo interpreta l’ottimo Mehdi Bajestani – non è solo un controverso e alienato giustiziere, una specie di attivista psicotico contro le prostitute.
Il film lo dimostra con efficacia: il vero nodo scorsoio al collo delle donne, più dell’Islam e della sharia (i precetti della retta vita), lo stringe il patriarcato con la sua miseria morale, la sua ipocrisia. Saeed è uno svitato pericoloso, ma il figlio Ali, appena adolescente lo ammira, lo considera un eroe perché ha già introiettato i principi di una società tornata arcaica che ritiene naturale il ruolo sottomesso della donna e Gohra (Sima Seyed, altro punto di forza in un cast perfetto) sta convintamente al fianco del marito, quelle puttane malvagie e viziose, corruttrici di uomini, andavano punite.
Il Corano e le donne
La teocrazia islamica dà un massiccio contributo alla vessazione dell’universo femminile – non ci possono essere equivoci o reticenza ad ammetterlo guardando alle sconcezze del regime di Ali Khamenei, una feroce Disneyland dell’arbitrio pretesco -, il Corano porta scritta l’inferiorità/diversità della donna rispetto all’uomo, prediletto da Allah e lo sciismo ha in sé forti umori messianici e ostili alla modernizzazione, però è il patriarcato che nella Storia configura negativamente l’universo femminile, strangolandolo, appunto.
Una sinergia micidiale, con picchi di surrealismo, vedi l’Aghanistan sunnita col recente divieto di usare contraccettivi per le donne, in quanto parte di una cospirazione dell’Occidente per controllare popolazione musulmana. Attenti comunque a parlare di superiorità della cultura giudaico-cristiana tout court, in Italia abbiamo abrogato solo nell’81 il delitto d’onore (l’onore infangato era quello maschile, obviously) e nell’Atene classica del V secolo, culla ed esempio eterno di virtù civili, Euripide scriveva: “Zeus, perché hai dunque messo fra gli uomini un ambiguo malanno, portando le donne alla luce del sole?” (“Ippolito”, 616-617).
La giornalista di Teheran Rahimi (Zar Amir Ebrahimi, com’è brava!) è un fior di mastino, è arrivata a Mashaad per vedere più chiaro nei delitti del Ragno Santo e racconta al collega giuggiolone Sharifi (Arash Ashtiani) che per aver denunciato il caporedattore molesto è passata da vittima a ragazza poco di buono, di facili costumi: è la donna che provoca, andiamoci a rileggere certi verbali di processi in casa nostra di qualche decennio fa. Rahimi subisce anche le attenzioni odiose di un capo della polizia, Rostami (Sina Parvaneh), tanto lei fuma, è di facili costumi e non avesse esibito la tessera da giornalista in albergo mai le avrebbero dato una camera singola, una donna da sola è indecorosa. Ma di quanti impicci, fastidi, violenze morali è lastricata la vita delle donne da quelle parti?
La cattura del Ragno assassino
Rahimi non molla, condurrà una polizia inerte alla cattura del Ragno Assassino, rischiando la pelle. La gente manifesta a sostegno dell’“eroe”, il caso è diventato politico e Saeed Hanaei salirà sul patibolo. Le sue idee non moriranno con lui, il film si chiude col figlio del Ragno che davanti a una telecamera illustra orgoglioso le modalità di assassinio paterne, infiocchettandole di particolari inesistenti e utilizzando per la messinscena la sorellina piccola e un tappeto. Ali fa per coprirla, la bimba protesta: “Io sono viva”.
I 118 minuti di “Holy Spider” parlano di un serial killer immergendolo nel suo contesto sociale, Saeed non è, per fare un esempio, il Buffalo Bill del “Silenzio degli innocenti” di Jonathan Demme, un “cattivo” funzionale alla trama con le sue imprese maniacali e stop, mentre il focus è tutto sulla detective interpretata da Jodie Foster. Saeed assomiglia più a “M” di Friz Lang, è tratteggiato con ricchezza di sfumature e innestato nel suo milieu, amicizie, frequentazioni, luoghi, passato, famiglia, gestualità omicida, a far emergere una catastrofe mentale alimentata dalla repressione religioso-culturale del desiderio, con decisi tratti di perversione necrofila, visto che si eccita e fa l’amore con la moglie, rientrata casualmente a casa, a pochi metri di distanza dal cadavere di una sua freschissima vittima, impacchettata nel solito tappeto non tanto bene da impedirgli di scorgerne un piede.
Momenti di suspense assoluta
Abbasi esce dai margini del genere, cammina e bene sui sentieri del thriller con momenti di suspense assoluta, tratteggiando nello stesso tempo con cura personaggi e mondo, a partire dalle prostitute povere che si aiutano con l’oppio, vivono in quartieri semibui vicini ma lontanissimi dalle luci della “vera” città, magari sono incinte o ragazze madri che prima di uscire nella notte coperte dal chador per non avere guai danno il bacio della buonanotte alla figlia. Zar Amir Ebrahimi disegna con dolente misura sul volto della giornalista Rahimi paure e turbamenti, ci restituisce una donna colpita dal maschilismo ma non piegata, ruolo che l’attrice quarantaduenne, nata a Teheran e con cittadinanza francese, ha sentito particolarmente.
Quando ancora viveva in patria è stato divulgato sul web un sex tape in cui appariva insieme a un uomo e naturalmente non è stato perseguito il tanghero che ha fatto girare il video, ma lei: assurda la condanna, niente film e tv per dieci anni, carcere e 99 frustate (cento parevano troppe?). Zar, era il 2008, è scappata in Francia e ora con “Holy Spider” si è presa la soddisfazione di vincere – prima iraniana – la Palma d’Oro a Cannes come migliore attrice ed è protagonista di “Shadya“, opera prima di Noora Niasari, nata in Iran e cresciuta in Australia, un film, ha detto la regista, che è “una lettera d’amore alle madri e alle figlie, alla cultura, alle ragazze e alle donne coraggiose dell’Iran” .
Il disprezzo degli ayatollah per i figli migliori
La teocrazia degli ayatollah non sa che farsene dei suoi figli migliori, degli artisti che sanno “vedere” la realtà iraniana d’oggi, li spreca. Il regista Jafar Panahi entra ed esce dal carcere di Evin, la regista e autrice di fumetti Marjane Satrapi (“Persepolis” è stato un successo mondiale) vive a Parigi, la scrittrice Azar Nafisi (“Leggere Lolita a Teheran”) sta a Washington.
Intelligenze vispe, sense of humour e Ali Abbasi è ben degno di stare nel gruppo. Così ha ricordato in un’intervista il casting e la scelta di Mehdi Bajestani come Ragno Assassino: “Una volta che mi concentro su Bajestani più che su altri attori scopro che: 1) possiede e guida la stessa moto del suo personaggio, intendo esattamente lo stesso modello; 2) proviene dalla regione di Mashaad; 3) ha fatto il muratore; 4) è stato soldato da giovane. È come se Martin Scorsese durante la costruzione di ‘Taxi Driver’ avesse incontrato un attore venticinquenne, reduce del Vietnam, tassista, con una passione feticista per i film porno”.
“Holy Spider” è frutto di una coproduzione tra Danimarca, Germania, Svezia e Francia. Distribuisce da noi Academy Two in 38 sale.
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